Interviste a cura di Bruna Laudi

Nel Tempio piccolo di Torino, gli scranni solitamente occupati da uomini col talled erano invece occupati da donne e ragazze variopinte, allegre, emozionate e partecipi di un’avventura nuova: affettuosamente vicine a otto coraggiose donne vestite con le maschere di Purim che occupavano la tevà (tribuna da cui si legge la Torà) e che si apprestavano a leggere, secondo il rito di Torino, la Meghillat Ester (rotolo in cui si narra la storia di Ester)

Si è così realizzato il sogno di una bambina che, come Davita di Chaim Potok (L’arpa di Davita, 1989), non capiva perché le fosse precluso l’accesso a riti esclusivamente maschili, secondo l’ebraismo ortodosso. Ce lo racconta lei stessa. Si aggiungono poi i commenti di alcune partecipanti al progetto, sollecitate a raccontarci alcune riflessioni.

Il progetto, le motivazioni

Figlia di hazan

Mio padre è stato per decenni hazan (cantore), custode zelante dei canti sinagogali torinesi e piemontesi, che ha trasmesso a generazioni di hazanim più giovani di lui. Ha iniziato a istruire i ragazzini per il bar mitzvà quando io stessa stavo per raggiungere la maggiorità religiosa; quindi io condividevo con Marco ed Emilio, due ragazzi più vecchi di me di un anno, le lezioni di mio padre sulle mitzvot, sulle feste, sulla storia ebraica; poi arrivava il momento in cui le nostre strade si dividevano: loro a ripetere la loro piskà, la parte di Torah che avrebbero dovuto cantare, io a canticchiare tra me e me quelle parole e quelle musiche che avevo memorizzato prima di loro. Dopo i primi due ne sono venuti molti altri, e poi hatanim (sposi della Torà) che ripetevano l’inizio della Genesi (ormai ho memorizzato anche quello), persone che dovevano officiare in varie occasioni; alcuni molto intonati, altri che inizialmente cantavano persino peggio di me; ma se sei un maschio almeno una volta nella vita il tuo momento di gloria sulla tevà non te lo negherà nessuno.

Questa premessa fuori contesto mi pare necessaria per spiegare perché proprio io che non sono osservante, non sono una brava cantante e non so molto bene l’ebraico mi sono impuntata più di tutte a Torino nel voler fare la lettura femminile della Meghillat Ester (rotolo di Ester). A questi lontani ricordi della mia infanzia si aggiunge un evento più recente: la sera di Purim del 2023 mi trovavo in Grecia in gita scolastica. Un paio di giorni prima ero andata alla sinagoga di Atene per informarmi sull’orario della lettura della Meghillà, ma a causa del traffico e di una lunga sosta fotografica alle Termopili siamo arrivati molto più tardi: ancora una volta Leonida e i suoi trecento spartiati sono riusciti a bloccare i persiani (Ester, Mordechai, Assuero che secondo alcuni è proprio Serse), ma ancora una volta non hanno potuto fermarli del tutto perché io non ho desistito: mi sono chiusa in camera e mi sono recitata tutta la Meghillat Ester per mio conto. Certo, da un libro e non da un rotolo, ma piena di illusorio orgoglio e di reale incoscienza ho pensato: se riesco a leggerla a prima vista con le vocali se me la studio per un anno intero sarò ben capace a leggerla senza. Quindi sono partita convinta che se non avessi trovato altre donne disposte a condividere la mia idea avrei fatto tutto da sola. Ci tenevo che fosse quest’anno perché Purim sarebbe stato di domenica, e non so tra quanti anni capiterà di nuovo.
Per fortuna ho trovato amiche disposte a condividere il mio progetto, tutte bravissime e più intonate di me. E per fortuna abbiamo avuto l’aiuto di Rav Finzi (che fin dall’inizio ha chiarito che non avremmo dovuto fare una cosa che apparisse “di serie B” e in questo modo ci ha spronate a prendere l’impegno sul serio) e di Micol Finzi. E, finalmente, dopo molti decenni anche io ho avuto l’occasione di provare e riprovare il canto con mio padre. Devo ammettere che è stato più difficile di quanto pensassi, perché i punti con due alternative di cui bisogna memorizzare quella giusta (be/ba, ve/va, k/kh, b/v…) sono infiniti, ma per fortuna abbiamo avuto una bravissima suggeritrice, Naamà, pronta a correggere gli errori. Anna S.

I dubbi iniziali

Quando è arrivato il messaggio sulla nostra chat: “c’è qualcuna che si renda disponibile per leggere un capitolo della Meghillat Ester?” risposi di impeto con un “ma sì, ci provo” … mancava qualche settimana a Purim, ma da incosciente e pure ignorante come sono, pensai che cosa sarà mai? Qualche riga da leggere in Sala Adei dal libro, una melodia facile registrata dalla quale imparare e vai…
Non ci misi molto a capire in quale impresa mi fossi cacciata, ma tutto sommato avevo avuto una settimana di scarso lavoro e le prime frasi si imparavano abbastanza facilmente, ripetendole una per una all’infinito.
Poi la prima doccia fredda, la prima prova su Zoom con Micol che ci correggeva… mi correggeva, quasi ogni parola! Sconforto totale, ma ancora speravo di potercela fare.
Quando seppi che la lettura sarebbe stata fatta a tevà, con un vero rotolo di Meghillà e per giunta senza puntini (senza vocali) … avrei voluto salutare tutti e dire che mi ero sbagliata. Ma era troppo tardi ormai e non sarebbe stato da me tirarmi indietro mettendo a repentaglio un progetto così bello e in crisi le mie compagne: così caddi in preda al panico mentre i giorni passavano. Ruth e Naama mi sembravano più sconfortate di me a sentirmi leggere, ma non mi mollavano, sono state un puntello formidabile. Danila F.

All’inizio ero scettica in modo banale perché pensavo che non ci saremmo riuscite: cercavo su internet delle registrazioni della meghillà letta ‘alla torinese’ ma trovavo solo altri modi di cantare e questo mi scoraggiava.
La registrazione che rav Finzi ci ha fornito dopo le prime riunioni introduttive ha cambiato tutto e, a quel punto, mi sono resa conto che si poteva fare, che un capitolo avrei potuto impararlo (avevo anche scelto il più corto) e così è diventato un originale modo di passare un po’ di tempo libero (grazie al quale però, dovendomi soffermare per forza su ogni singola parola, si è aggiunta anche una maggiore consapevolezza del testo).
Per quanto mi riguarda sono timida e perfezionista e molte volte ho pensato che sarebbe stato prudente rinunciare se non avessimo potuto garantire una lettura perfetta, più che altro per evitare eventuali critiche che avrebbero messo in forse la possibilità di ripetere la lettura nei prossimi anni. Silvia S.

Ricordo che leggevo il messaggio sulla lettura ed ero con Alberto, ed è lui che mi ha spinto a partecipare in questa meravigliosa esperienza scaturita da un’idea di Anna.
Ho quindi iniziato lo studio della meghillà, e proprio il minhag (rito) del canto mi ha messo in seria difficoltà, sentivo la registrazione del Rav per strada, alla sera, in macchina – ho iniziato addirittura a sognarla!! Naama C.

Quali conquiste sono state fatte? Alcune riflessioni sul ruolo femminile nell’ebraismo.

Non mi sento affatto ribelle. Ho assistito tante volte ad una lettura femminile in ambienti ortodossi molto attenti alla Halachà. Ero solo felice di poter partecipare attivamente anche io, nella nostra comunità. Ammetto che più che il fatto che fosse femminile, mi ha commosso il fatto che sarebbe stata a più voci. Eravamo diverse di voce, tonalità ed accento. Eravamo diverse come storie di vita. Ma eravamo unite nell’amore verso la meghillà e nella devozione verso la mitzvà di leggerla come l’halachà vuole. E questo era una botta di energia per me. Ruth M.

Non ho mai avuto l’idea di compiere un gesto rivoluzionario, perché sapevo che si trattava di una cosa permessa e già attuata in altre comunità ortodosse, anche in anni passati. Ori S.

Personalmente non ho mai patito il fatto che al tempio gli officianti siano solo uomini, anzi, lo ritengo nel complesso molto comodo per cui non ho colto la cosa come una specie di rivalsa o di conquista strappata ai detentori di qualche potere.
Quello che abbiamo fatto rientra completamente nell’ambito dell’ebraismo tradizionale, non c’è stato niente al di fuori della tradizione; magari mi fa un po’ ridere pensare che gli uomini non possano sentire il nostro canto. Devo ancora capire se è perché il canto femminile è troppo attraente per gli uomini (e allora, per gran parte di noi è un problema inesistente) o, come mi è sembrato di capire proprio a Purim, perché non può ascoltare la nostra lettura un uomo in grado di leggere la meghillà, perché in tal caso avrebbe l’obbligo di leggerla lui stesso. In ogni caso, essendo la prima volta per Torino, è certamente una conquista e la mia speranza è che invogli altre donne a seguire, magari meglio di noi, questo esempio. Silvia S.

Ho fatto pensieri e riflessioni sulla voce femminile e il divieto per gli uomini di ascoltarla, sarebbe bello fare un limud (studio) al riguardo. Naama C.

Claudia R. sottolinea l’armonia che si è creata nel gruppo, il supporto reciproco: particolarmente rilevanti in un periodo di conflittualità che, anche non volendo, coinvolge tutti.

Come mi sono sentita prima, durante e dopo?

Arrivata alla sera di Purim vi assicuro che mi sembrava di essere alla notte prima della maturità… non dormii quasi, la bocca asciutta, la paura che mi succedesse qualcosa perché non avevamo un piano B (da tenere presente per le prossime occasioni) e lasciare nei guai la “squadra”.
Ricorderò sempre il momento in cui ricevetti la bonaria approvazione di Naama a lettura terminata: nonostante alcuni errori l’avventura era finita, nemmeno tanto male.
No, non è stata una avventura, è stata una esperienza meravigliosa, fortificante.
In realtà quello che mi ha spinto a non mollare, oltre ad un senso di responsabilità verso il gruppo, è stato il volermi prendere una personale soddisfazione rispetto al mio bat-mitzwà: ricordavo ancora che non riuscivo a leggere una sola frase in ebraico dell’Eshet Chail, non avrei potuto fallire una seconda volta. Danila F.

Poco prima della lettura, mi sono scoperta più emozionata e agitata di quanto credessi ma, in realtà, questo dipende molto dal mio carattere e un pochino anche dalla novità del leggere in tevà.
Mi sembra che molte delle presenti fossero attratte dalla curiosità, forse anche da un piccolo senso di “rivincita” rispetto al fatto che fosse possibile una lettura femminile, cosa, probabilmente, non a tutte nota prima: ho trovato molto piacevole l’atmosfera che si è creata, soprattutto alla fine: una bella esperienza. Ori S.

La preparazione, la lettura, l’emozione di essere insieme noi donne diverse ha creato un legame e sensazioni che non avrei pensato di provare. Voglio ringraziare Rav Finzi e sua figlia Micol che ci ha ascoltato e guidato per arrivare a fare una performance eccellente. Soprattutto dico grazie alle mie amiche regine per ciò che eravamo e siamo diventate una per l’altra e chiedo ancora scusa per le correzioni… Naama C.

L’elemento caratterizzante di questa esperienza è stata la dimensione collettiva che ha dato un valore maggiore allo studio. La condivisione dei dubbi e il supporto reciproco hanno dato al progetto una dimensione sociale che ha unito noi lettrici anche nelle nostre differenze. Aver condiviso questa esperienza con la mia mamma ha reso ancora più emozionante lo studio e la lettura. Mara DiC.

Ester e Vashtì: figure femminili protagoniste

Ester è un personaggio molto umano, molto rappresentativo di tanti ebrei assimilati. Non nasce come un’eroina, ha paura, ma, come spesso succede, trova la forza di affrontare la situazione drammatica, recuperando la consapevolezza di se stessa come ebrea. In questo è senz’altro aiutata inizialmente da Mordechai ma poi procede bene anche da sola.
Vashtì è un personaggio positivo: non penso che sia da considerare una protofemminista ma certo ha la testa sul collo e mantiene, nel valutare le situazioni, una lucidità che certo manca al re, non solo quando è ubriaco. Ori S.

Il tema della violenza: si trova nella meghillà e si vive nella realtà. Come vi ponete come donne?

Per quanto riguarda la guerra, i rapiti, le violenze sessuali…sono così sconsolata e incredula della situazione che viviamo. La storia di Ester, rapita e presa senza la sua volontà nel palazzo del re, è solitamente una storia remota e quasi distaccata da noi. Una fiaba. Non quest’anno. Ruth M.

La violenza mi fa orrore e sono decine i film, anche bellissimi, che non riesco a guardare perché hanno scene violente. Nella meghillà mi ha sempre colpito la violenza dell’ultima parte con tutte le vittime dello scontro; questa volta ho notato di più la violenza di un monarca assoluto che decide in un secondo, quasi distrattamente, la sorte di un singolo come di un intero popolo. Silvia S.

Cosa resta di questa esperienza?

Alla nostra lettura c’era abbastanza pubblico, (anche qui le previsioni variavano da “non verrà quasi nessuno” a “sarà pieno di gente”) erano in parte parenti e amiche, in parte persone curiose ma, per quello che ho potuto percepire, la partecipazione è stata decisamente affettuosa.
Non ho mai avuto l’idea di compiere un passo storico, perché tale non era, non mi sento cambiata e non credo di aver fatto una grande conquista; però ho apprezzato alcuni aspetti in particolare. Uno è l’opportunità di approfondire il testo, che pure già conoscevo, in alcune sue caratteristiche linguistiche e stilistiche. L’altro aspetto è il piacere della realizzazione comune di un progetto, con la ricerca di valutarne e affrontarne insieme tutti i problemi organizzativi. Ricordo di aver provato questo genere di soddisfazione e senso di condivisione anche nel mio lavoro, dopo la buona riuscita di progetti comuni ai quali avevamo dedicato sforzo e attenzione particolari. Ho apprezzato molto infine il calore del pubblico presente. Ori S.

Apprezzamento e gratitudine verso chi prepara la lettura della Torah ogni settimana: solo ora capisco quanto è impegnativo e quanto chiede devozione. Contemporaneamente una sorta di invidia per chi ha questo compito settimanale: il legame creato tra me e il testo che ho letto (due capitoli meravigliosi che rappresentano per me il risveglio di una donna muta, priva di autostima, ad una donna responsabile ed attiva, una donna grande), un legame intimo e unico che mi accompagna ancora oggi, in momenti poco aspettati, mentre pulisco casa o faccio la spesa. Vorrei avere più spesso un legame così intenso con la Torah.
L’insieme di noi donne sulla tevà, come l’arca di Noè, solo che tutte noi eravamo Noè, una sostiene l’altra, una attenta per la riuscita dell’altra, capendo che il successo di ognuna di noi in questa sfida è il successo di tutte le donne presenti in quel momento intorno a noi. Ho provato una sensazione di sorellanza che mi ha riempito di forza e sicurezza. Ruth M.

Mi auguro che questa prima volta sarà l’inizio di una tradizione torinese. Naama C

Unanimi sono concordi nella gratitudine verso Anna Segre perché veramente, senza la sua spinta, tutto questo non sarebbe successo. Grazie Anna.

24 marzo – 14. Adar II – Letture e canto:

Anna Segre, Claudia Reichenbach, Danila Franco, Mara Di Chio, Naama Calderon, Ori Sierra, Ruth Mussi, Silvia Sacerdote

 

image_pdfScarica il PDF