di Roberto Battistini

DAL 1973 AL 1993  IL SOGNO DELLA RADIO PIRATA VOICE OF PEACE

“Shalom from somewhere in the Mediterranean we are the Voice of Peace on 1540 khz”. Con queste parole in francese, inglese ed ebraico, inserite in un jingle che resta ancora oggi nella memoria di molti israeliani, il 20 maggio 1973 iniziò la sua trasmissione la radio Voice of Peace, a bordo di una nave da trasporto olandese in acque internazionali, la MV Peace (formalmente MV Cito). A 50 km dalla costa di Tel Aviv, era la prima radio che riusciva a raggiungere il Medio Oriente.

Che una nave al largo, in acque internazionali libere, trasmettesse una radio pirata non costituiva di per sé una novità in quegli anni, molti erano gli esempi anglosassoni come Radio Caroline, l’emittente radiofonica britannica offshore nata come radio pirata a bordo di una nave che voleva minare il dominio della BBC. Ma Voice of Peace era altro: intrinsecamente collegata al proprio contesto socio-politico, voleva rappresentare un disegno ideologico chiaro e forte. Siamo nel pieno del conflitto arabo-israeliano e il contesto culturale giovanile, i tanti movimenti israeliani pacifisti, erano alla ricerca di nuove modalità espressive proprio nel mezzo di un tragico e logorante conflitto. Voice of Peace voleva incarnare il desiderio di una vita normale, secondo l’aspirazione pacifista ben rappresentata nel documentario tratto dallo Spielberg Jewish Film Archive “Poems on Peace” di bambini israeliani e nel film “Last Summer Blues” di Renen Shorr (1987).

La formula era originale e ben riconoscibile: i suoi programmi erano costituiti da un susseguirsi di successi anglofoni intercalati dai ripetitivi e meravigliosi jingle, prodotti dai migliori musicisti degli USA le cui registrazioni venivano spedite in nastri a Tel Aviv.

Per capire meglio il ruolo che ebbe Voice of Peace in medio oriente, con il suo mix di messaggi di pace e pop music occidentale che raggiungeva Israele, Siria, Libano, Giordania, Egitto e Cipro nonché l’Europa occidentale, occorre ripercorrere la vita del suo fondatore Abie Nathan. Il suo ruolo è facilmente comprensibile dalle parole di David Ben Gurion: “…le motivazioni e le ispirazioni di Abie Nathan non sono importanti. È una dimostrazione del desiderio di pace in Israele”. (4 marzo 1966).

Abie Nathan (1927-2008), nato in Persia (non ancora Iran) nel 1927, pilota della RAF e cresciuto in India, divenne un personaggio mediatico israeliano con la sua vita mondana e la proprietà del ristorante a Tel Aviv “California”, dove importò per la prima volta in Israele gli hamburger e la cucina statunitense. Attirò però l’attenzione internazionale il 26 febbraio 1966, quando con il suo aereo monoposto, Shalom I, volò da Israele alla volta dell’Egitto per incontrare il Presidente Gamal Abdel Nasser, per portargli una raccolta firme per la pace tra i due paesi. Il suo viaggio si concluse con l’atterraggio a Port Said il 28 febbraio 1966, senza essere ricevuto, ma la sua vocazione per le cause umanitarie non si fermò lì e si ritrovò impegnato nella consegna di beni alimentari ai rifugiati dal Biafra nel 1968, mentre nel 1976 andò ad aiutare gli homeless del terremoto in Guatemala.

L’ardore per poter portare la pace in Israele di Abie Nathan si rifletteva nel suo progetto principale: volere a tutti i costi una radio che diventasse una piattaforma di dialogo tra arabi ed israeliani, un luogo di incontro nell’etere, non solo delle ispirazioni ma anche di tutto ciò che fosse reale, di vita. Nel suo progetto iniziale infatti l’equipaggio stesso doveva essere costituito da una sorta di joint-venture arabo-israeliana, un simbolo di cooperazione. La nave, nella sua visione originaria, avrebbe dovuto mandare in broadcast episodi tratti dalla Torah, dal Nuovo Testamento insieme a sure del Corano, il tutto accompagnato da news oggettive in grado di dare un’alternativa alla propaganda delle parti in guerra.

E così la sua nave il 16 marzo 73 partì da NY e dopo alcune settimane di sosta a Marsiglia, arrivò nelle acque internazionali di fronte a Tel Aviv con il suo trasmettitore da 50 kW e il suo messaggio iconico, ripetuto con costanza: “Peace is the word. And the Voice of Peace is this radio, 24 hours a day”. Un messaggio per il popolo che tramite musica popolare permetteva ai giovani israeliani di uscire dal loro confine, per lenire dolore e sofferenza. Voice of Peace piaceva ai giovani, sia arabi che israeliani, senza contare l’idea della trasmissione serale Kol Halev (la voce del cuore), l’unico spazio reale di dialogo tra arabi e israeliani, senza censure dove pure gli ascoltatori potevano partecipare. Indimenticabili gli estratti dai discorsi dell’Accordo di Camp David tra Begin e Sadat (1978), slogan pacifisti mandati on air con frequenza: “The october war should be the last war”, “No more war, no more bloodshed”.

Molti celebri dj, tra cui Noam Avira, Gil Ktzir, Gad Biton, iniziarono le loro carriere proprio a bordo della piccola e fragile nave di Voice of Peace, nonostante la sopravvivenza economica restasse un grave problema per una radio a bordo di una nave al largo. Il costo di gestione era ovviamente molto più alto di qualsiasi radio a terra e metteva la radio offshore di fronte al costante timore della bancarotta. Abie Nathan cercò sponsor ovunque, arrivò a convincere John Lennon del valore dell’iniziativa che non solo finanziò la radio, ma dedicò il celebre brano “Give Peace a chance” a Voice of Peace, che divenne l’inno della nave stessa. Voice of Pace riuscì con gli anni ad avere anche dei profitti che lo stesso Abie Nathan destinava ad enti di beneficenza. Anche quando la Coca Cola si rifiutò di mettere inserzioni pubblicitarie, Abie Nathan disse: “gliela faremo vedere. Userò il mio potere per lanciare il messaggio: bevete solo acqua!”. L’irriducibile pirata non cedette neanche nel momento in cui la normativa israeliana permise nel 1992 il passaggio legalizzato a terra delle radio offshore, subordinatamente al pagamento dei diritti musicali e al controllo dei contenuti. Nonostante l’evidente vantaggio economico e il debito che si avvicinava a 250.000 dollari, Abie Nathan rifiutò.

Una volta però avviati gli accordi di pace tra Arafat e Rabin, che sarebbero stati ratificati il 13 settembre 1993 (Accordi di Oslo), Voice of Peace sentì di aver raggiunto il suo obiettivo.
ll 1° ottobre 1993 Abie Nathan salì a bordo della MV Peace per trasmettere per l’ultima volta. La maggior parte dei dj rimasti lasciò la nave. Poco dopo le 9:00 Abie Nathan iniziò un programma durante il quale parlò a lungo della storia della Voice of Peace, dei problemi che aveva incontrato nella gestione di una stazione radio offshore, del presunto “boicottaggio” governativo e delle sue ragioni per la chiusura della stazione. Ringraziò anche tutti coloro che avevano lavorato per mantenere la Voice of Peace in onda per più di 20 anni, illustrando infine la sua intenzione di affondare la MV Peace una volta che la stazione chiudesse. Alle 13:00 il sindaco di Tel Aviv, Shlomo “Chich” Lahat, e l’allora ministro dell’Ambiente erano già a bordo della nave Peace per supplicare Abie Nathan di non affondare la nave. Durante una discussione mandata in onda, il sindaco Lahat promise di mettere a disposizione un ormeggio per la nave nel porto di Tel Aviv e illustrò il suo progetto di conversione della nave in un Museo della Pace. Abie Nathan fu convinto da questa offerta delle autorità e annunciò la costituzione di una nuova Fondazione che avrebbe gestito il Museo della Pace. Dopo l’ultimo nostalgico e struggente brano, “We Shall Overcome” di Pete Segeer, Abie Nathan disse semplicemente “Grazie a tutti. Shalom. Amore e Pace a tutti” e, alle 13:57 del 1° ottobre 1993, le trasmissioni della Voice of Peace terminarono. Dopo la chiusura della stazione, la MV Peace salpò nel suo ultimo viaggio diretta a Tel Aviv, accompagnata da una quarantina di piccole imbarcazioni di sostenitori e benefattori. Una scena memorabile. La nave rimase a Tel Aviv in attesa di accordi per la sua conversione in un Museo della Pace come concordato in onda durante la trasmissione finale. Purtroppo, a causa del cambio del sindaco di Tel Aviv e di alcune manovre politiche avvenute nelle settimane successive alla chiusura di Voice of Peace, il progetto del Museo della Pace non venne mai concretizzato.

Alla fine la nave scomparve nelle profondità del Mediterraneo nel 1993, lasciando solo una targa commemorativa sugli scogli. 23 anni dopo dei sommozzatori ne hanno filmato i resti arenati nei fondali. Il video disponibile su Youtube mostra una nave fantasma, ricoperta di incrostazioni, quasi simbolo della fine del mito tanto inseguito della pace. Oggi, infatti, la maggior parte degli israeliani non crede più nella pace, vede nella guerra l’unica soluzione possibile per garantire sicurezza dopo gli avvenimenti del 7 ottobre e ai più di 35.000 missili lanciati su Israele dai territori circostanti ma, come ha affermato il rabbino Ron Kronish in una recente intervista, “Sì, è ancora possibile – e persino urgente – parlare di pace in Israele per il bene di tutti i cittadini israeliani e di tutti i popoli in Medio Oriente”. Kronish, fondatore dell’ex Coordinamento Interreligioso in Israele (ICCI) che ha guidato per 45 anni, grande mediatore nel dialogo religioso e personalità carismatica del mondo ebraico continua affermando: “Anche se può essere difficile ora, è essenziale parlare e preparare piani per la pace e la stabilità di Israele e della regione.”

Sarà un segno dei tempi o meno, ma Voice of Peace è tornata a trasmettere, oggi la si può ascoltare alla frequenza 100 FM o in live streaming dal sito www.100fm.co.il/program/voice-of-peace, con presenti Mike Brand, Tim Shepherd e Gil Katzir, dj membri originari della prima Voice of Peace.
I sogni possono affondare nei bui fondali della realtà, ma possono a volte continuare a vivere nella speranza. Un concetto profondamente ebraico.


Riferimenti

Oren Soffer. “The noble pirate”: the Voice of Peace of peace offshore radio station. Journal of Israeli History, 19:2, 159-174. 2010.

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