Il momento storico che stiamo vivendo è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione. Per gli ebrei in Israele e nella diaspora paiono sgretolarsi in maniera progressiva certezze e sicurezze cui eravamo abituati da decenni. Una realtà distopica si sta progressivamente palesando sotto i nostri occhi, dove nuovi e vecchi nemici hanno ritrovato forza e vigore in un intrecciarsi di antisionismo ed antisemitismo che minaccia in modo violento tanto lo Stato di Israele quanto gli ebrei nella diaspora.
Le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente e difficilmente riusciamo a trovare, in tempi recenti, una situazione internazionale così fragile, minacciosa e difficile da decodificare.
Il trauma subito dagli israeliani e dagli ebrei di tutto il mondo il 7 ottobre è indiscutibile ed un giornale ebraico come Ha Keillah, che data la sua periodicità non riporta fatti di cronaca, non può prescindere dal narrare le reazioni che la violenza scatenata da Hamas ha determinato in Israele e nel mondo ebraico italiano. Da allora la redazione ha cercato di dare voce a tutti coloro che erano alla ricerca di un luogo per manifestare il proprio pensiero, secondo la tradizione del giornale di affrontare tematiche scomode, senza censure.
Crediamo allo stesso tempo che la storia di Ha Keillah ci imponga anche di avviare una riflessione, che non sia solo emotiva e che non si fermi al 7 ottobre, ma che affronti in modo analitico la reazione che tanto in Israele quanto in Italia è seguita all’attacco scellerato e sanguinario perpetrato da Hamas, cercando di capire cosa sta succedendo, senza utilizzare schemi e concetti datati e superati dai fatti.
Indiscutibilmente il 7 ottobre identifica oggi e, presumibilmente per molto tempo a venire, un prima e un dopo. Ma il prima non era tutto rose e fiori e il dopo non deve essere solo tempesta.
Prima del 7 ottobre Israele aveva eletto il governo più di destra ed oltranzista della propria storia, composto anche da partiti dichiaratamente kahanisti e suprematisti ebraici ed era dilaniato da una lotta esistenziale sulla sua natura di stato democratico. Queste pulsioni erano e sono presenti con forza crescente nella società israeliana, a tutti i livelli e anche all’interno dei comandi militari. È lecito pertanto chiedersi quante delle scelte fatte dai comandi tattici e strategici, come dai soldati sul campo di battaglia, siano influenzati da simpatizzanti di queste formazioni politiche.
Secondo la redazione è giusto valutare le azioni di guerra che Israele ha intrapreso a Gaza e la repressione in Cisgiordania, prescindendo dal sentimento di affetto che noi proviamo per questo Stato, e cercare di valutare la realtà per quella che è, basandoci sull’evidenza dei fatti, delle testimonianze che abbiamo a disposizione e su quanto viene riportato dalle maggiori e più rigorose testate giornalistiche nazionali ed internazionali.
Negare le conseguenze che la progressiva pressione coloniale in Cisgiordania ha avuto sui sentimenti dei palestinesi, secondo noi, è miope oltre che sciocco. Continuare a dipingere Za’hal come l’esercito più morale del mondo è oggi più un auspicio che il frutto di un’attenta analisi di quanto accade. Negare che Israele abbia condotto la sua azione militare a Gaza senza alcuno spirito di rivalsa e vendetta significa non avere voluto vedere la mole di filmati che gli stessi soldati israeliani hanno postato su tutti i social media. Domandarsi se il governo israeliano abbia realmente la priorità di far ritornare a casa gli ostaggi è lecito.
Non tutti gli interventi che troverete nelle pagine del giornale sono, secondo noi, basati su un’analisi “oggettiva” e distaccata dei fatti. La redazione ha comunque deciso di pubblicarli perché rappresentano un panorama dei sentimenti e del pensiero nel mondo ebraico progressista, in questa dolorosa fase storica.
Nessuno nella redazione ha verità assolute da proporre e ci rendiamo conto che in questo momento siamo più capaci di porre domande che dare risposte. Cercheremo di proseguire questa analisi anche nei prossimi numeri del giornale, cercando di essere sempre più analitici ed obiettivi. Nonostante tutto continuiamo a sperare che la guerra in Israele possa finire e che si trovi una via per una pace giusta e duratura, che garantisca la sicurezza dello Stato di Israele e consenta la realizzazione delle legittime aspirazioni nazionali palestinesi e che tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas vengano liberati.
La redazione