di Filippo Levi

Molte volte abbiamo sentito risuonare all’interno del mondo ebraico, di Israele, delle nostre comunità l’appello a rimanere uniti. Dobbiamo rimanere uniti per fare fronte alle avversità, rimanere uniti per combattere l’antisemitismo nelle sue svariate nuove forme, rimanere uniti per difendere Israele dai suoi mortali nemici giurati. È facile chiedere unità, ma dobbiamo rimanere uniti dietro a chi e per che cosa?

Dobbiamo rimanere uniti al fianco di coloro che si dichiarano amici di Israele, anche se sono dichiaratamente razzisti e non democratici, o dobbiamo rimanere uniti al fianco di coloro che sebbene critichino aspramente Israele sono fedeli ad ideali antifascisti e democratici?

Dobbiamo rimanere uniti dietro alle famiglie degli ostaggi che chiedono di fare qualsiasi cosa per farli ritornare, o dobbiamo rimanere uniti dietro a chi getta benzina sul fuoco della guerra e fa di tutto affinché non si arrivi ad una tregua?

Dobbiamo rimanere uniti dietro al movimento che da oltre due anni lotta per salvare la democrazia in Israele, o dobbiamo rimanere uniti dietro al governo del premier Netanyahu?

Dobbiamo rimanere uniti dietro ai gruppi che da decenni denunciano la corruzione morale che l’occupazione dei territori palestinesi ha portato nella società israeliana, o dobbiamo rimanere uniti con quei coloni che in Cisgiordania quotidianamente espropriano territori palestinesi devastano scuole ed asili, distruggono campi coltivati ed uliveti secolari?

Dobbiamo rimanere uniti dietro a quei soldati di Tsahal che non cessano di denunciare i soprusi commessi da loro commilitoni, o dobbiamo rimanere uniti dietro a quei soldati che abbiamo visto gioire per la distruzione inflitta agli abitanti di Gaza schernendo le altrui sventure?

Dobbiamo rimanere uniti dietro a quei rabbini che lavorano per il dialogo, o dobbiamo rimanere uniti con quelli che vorrebbero riedificare il terzo santuario?

È evidente che l’unità rende più forti e che di fronte ad un nemico che ci odia bisogna sapere rimanere uniti, passare sopra alle divisioni in nome del superiore bene comune. La storia ha dimostrato molte volte che in fondo il destino del popolo ebraico è collettivo e che i nemici non distinguono e che per loro gli ebrei sono tutti uguali.

L’unità va cercata ed invocata non quando il destino è comune, ma quando gli obiettivi sono comuni, e purtroppo mai come in questo momento gli obiettivi di parti della società israeliana e del mondo ebraico nel suo complesso sono del tutto divergenti e la percezione del bene comune è diversa. È certamente vero che Israele è stato ignominiosamente attaccato da Hamas il 7 ottobre e nessuno nel mondo ebraico ed in Israele ha messo in dubbio in quel momento, non solo il diritto, ma la necessità di rispondere a quell’attacco. Tuttavia le modalità con cui il governo ha deciso di rispondere hanno progressivamente evidenziato un disegno politico preciso dietro alle azioni dell’esercito, che ha iniziato a divergere da quello che una grande parte della società israeliana desiderava e riteneva giusto per arrivare ad una soluzione politica della situazione. Il governo di ultradestra israeliano ha apertamente approfittato della guerra a Gaza per perseguire i suoi criminali disegni di estromissione della popolazione palestinese da parti della Cisgiordania per arrivare ad una irreversibilità di fatto della sua occupazione.

È giusto avere obiettivi politici differenti ed è giusto portarli avanti contrastando chi persegue ciò che noi non vogliamo. È giusto che, a fronte di differenti aspirazioni, il mondo ebraico sia diviso e che sappia manifestare la propria differenza di vedute tanto al proprio interno quanto verso l’esterno, per proporre un orizzonte politico differente da quello che abbiamo davanti agli occhi, che sa proporre solamente guerra e distruzione.

La guerra provoca in tutti noi turbamento, angoscia e sgomento ed è su questi sentimenti che gioca la propaganda per invocare forza, determinazione e unità, ma come già Eschilo aveva capito “in guerra la prima vittima è la verità”, ed è nostro dovere rimanere vigili e critici e continuare a lavorare per portare avanti un progetto politico di convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi, uniti con chi ha i nostri medesimi obiettivi.

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