di Edoardo Garrone
Io e Bice abbiamo conosciuto Davide (più noto come Dade) molto presto all’Università. Nel 1963 è stato fugacemente assistente ad un laboratorio (Analisi Chimica qualitativa) che frequentavamo durante il nostro secondo anno (Dade si era appena laureato); ricordo che, essendo appena poco più vecchio di noi, lo vessavamo per avere qualche indiscrezione su quelle analisi piuttosto difficili. Era combattuto tra il suo dovere di docente e la istintiva generosità che sempre lo ha contraddistinto.
Più avanti negli anni si è sviluppata una amicizia che non ha visto però comunanza di interessi scientifici, perché io avevo preso la strada della chimica di superficie e lui quella della strutturistica. Quella mia scelta era, tutto sommato, nel main stream del lavoro portato avanti dal gruppo Borello-Zecchina, mentre Dade aveva avuto il coraggio di andare per una strada diversa, frequentata solo da un gruppo di strutturisti mineralogisti.
Questa indipendenza, da una parte lo ha portato ad essere in contatto con ricercatori affermati a livello internazionale, ma dall’altra gli è costata l’emarginazione locale: quando è stato promosso professore ordinario se ne è dovuto andare a Cosenza, nonostante le promesse ricevute. Lo stesso è capitato poi anche a me, costretto ad accettare la nomina a Potenza, sia pure solo per un anno, prima di essere accolto al Poli.
Il contatto scientifico si è realizzato a partire dalla seconda metà degli ’80, ma il punto di contatto più sostanzioso tra me e lui è stato quello della politica. Tutti e due arrivavamo da famiglie comuniste, la sua ben nota, la mia di semplice estrazione operaia. Scherzava spesso sul fatto che era stato da bambino sulle ginocchia di Togliatti, ed era giustamente orgoglioso della zia Giorgina Levi. Entrambi abbiamo avuto una (sana, continuo a pensare) tendenza a non occuparci dei grandi problemi politici ma piuttosto della realtà che vedevamo intorno a noi. Non a caso entrambi avevamo fatto la scelta di non iscriverci alla sezione universitaria del PCI, ma alla sezione di strada, la 25°. Per Dade era come essere a casa: Borio, suo suocero, ne era il tesoriere; diventò anche casa mia dal ’76 quando mi iscrissi al ritorno dall’Inghilterra.
A parte le riunioni di sezione, il luogo di incontro politico era la circoscrizione. Davide fu attivo fin da subito nei comitati di quartiere, che poi diventarono le circoscrizioni. Il primo periodo della nostra circoscrizione, quando comprendeva il solo San Salvario, fu davvero impegnativo perché le ridotte dimensioni garantivano il contatto continuo con i cittadini del quartiere. Ne era presidente Emilio Delmastro ed erano presenti anche Anna Salmon Vivanti e Emma Debenedetti Terracini. Il fatto che i consiglieri fossero in tutto 20 e che di questi 3 fossero ebrei e tutti di sinistra la dice lunga sulla propensione degli ebrei per la politica e per i partiti della sinistra.
Vale la pena di ricordare un episodio divertente. Un giorno, durante una riunione della circoscrizione, era seduta davanti a me e Dade una democristiana di rilevante bruttezza. Dade, annoiato come me, mi disse: “Vedi, questa è quello che un ebreo piemontese definirebbe come una spaventa berid!”. Io non capii, e Dade mi spiegò che il berit milà per i maschi è il patto (berit) della circoncisione (milà) e che gli ebrei ignoranti hanno interpretato “milà” come taglio, e di conseguenza “berit” come organo maschile.
Davide, come molti ma non tutti quelli della nostra generazione, ha vissuto l’impegno politico come dovere etico, che non deve portare dei vantaggi, se non quelli morali di avere l’occasione per fare la cosa giusta, o almeno di provarci. Non ricordo alcuna ricompensa o onore che abbia avuto: il sapere di essere dalla parte giusta ci pareva sufficiente.