di David Terracini
A proposito del tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2022
Ma che rinnovamento e rinnovamento? Dell’ebraismo? Ma quando mai…
I miei bisnipoti israeliani, che sono ebrei askenaziti ortodossi che più ortodossi non si può, e noi in confronto siamo dei goim, che loro parlano solo yiddish in famiglia e nel quartiere dove abitano, un vero e proprio shtetl, e che l’ebraico, dicono, è lingua sacra della preghiera e dello studio biblico e che usarla per la conversazione è un sacrilegio, che la gente fuori parla ebraico, ma praticamente loro sono tutti goim! Però l’italiano, perbacco, i miei bisnipoti lo hanno parlato quando sono andato a trovarli, ma come abbiamo fatto a capirci? Loro parlavano in yiddish al loro telefonino, e io capivo tutto perché il telefonino invece mi parlava in italiano e viceversa. I loro amici sefarditi, di origine libica, divertiti da questa babele, erano “aschenazitizzati”: vestiti di nero, avevano i cernecchi, gli tzitzit e le chiavi di casa che pendevano dalla cintura come i miei bisnipoti askenaziti. Come di consueto quando incontro un ebreo religioso, pongo a un bisnipote una domanda sicuramente banale su un aspetto della tradizione. – È tutt’altro che banale – mi risponde – non ci sono domande banali su questi temi. Spippola sul cellulare (anche lui sul cellulare) e mi squaderna una ventina di risposte tratte dal Talmud di 1500 anni fa e dai detti dei maestri più recenti, di duecento anni fa. Ma voi – chiedo allibito – usate facebook e quelle altre diavolerie con frasi sincopate e figure che si scambiano i goim? – Solo per appuntamenti e notizie importanti – mi fa – e solo tra noi, perché gli altri, i non religiosi, si scambiano solo cretinate e immagini porno. A noi preme lo studio, che è ricerca, dibattito, confronto su argomenti complessi, tra due o più persone. Non si può interpretare un mondo complesso come quello delle idee solo dividendolo in bianco e nero come si fa coi social. E la preghiera è collettiva, se no non è. – Non comunicate con zoom? – chiedo. – Obbligati da quelli del governo, a causa del “corona”, abbiamo dovuto comunicare tra noi solo in teleconferenza, ma appena possibile abbiamo derogato, seguendo le istruzioni dei nostri maestri. – I nostri avi, se non sbaglio – faccio io – nei tempi antichi tenevano a memoria i testi sacri. Solo più tardi hanno scritto testi e commenti su rotoli di cartapecora, alcuni dei quali si sono conservati migliaia di anni. Una memoria fenomenale! I mezzi informatici invece hanno una memoria brevissima, gli strumenti di registrazione e di lettura diventano vecchi in pochi anni. Come fare? – La scrittura a mano dei rotoli – mi risponde il bisnipote – e la stampa sono garantiti per secoli, se si logorano vengono rinnovati sempre uguali e poi negli anni a venire Hashem ci manderà mezzi per perpetuare in eterno la memoria dei nostri Padri…
La mia vecchia amica reform Shoshanna recita, con il suo inestinguibile accento americano: – Sia benedetto il Signore per averci consentito di pervenire a questo venerdì sera. Ora Sara ci canterà Lekhà Dodì con la sua bella voce, the song dell’entrata dello Shabbat. E tu, John, accompagnala con la chitarra. Vieni, mio amato, incontro alla Sposa, dice la canzone, let’s welcome Shabbat, orsù andiamo incontro allo Shabbat, because è la fonte della benedizione – …Mi guardo attorno: la stanza è squallida, seggiole scompagnate, un tavolo che balla coperto con la tovaglia di Ester, la moglie di Shoshanna, che con amore ha cucinato i cibi della tradizione ebraico-americana. Potrebbe essere una cerimonia triste, ma loro sono lieti, come scout intorno al fuoco. Forse la vecchia Shoshanna, oggi del gruppo Women of the Wall (le Donne del Muro del Pianto) da giovane è stata una capo scout, sa mettere allegria al piccolo gruppo. – Perché – chiedo- non pregate nella sinagoga di questa città? – I reform in Italia – mi risponde Shoshanna – are not allowed to tenere le loro funzioni lì. Noi siamo ospitati gentilmente da un’associazione battista, perché non siamo orthodox: molti rabbini in Italia dicono che i movimenti progressive sono come le prime comunità cristiane, che, dicono, hanno gradualmente abbandonato le loro radici ebraiche. Eppure negli USA la maggioranza degli ebrei appartiene ad associazioni progressive, e spesso le sinagoghe sono aperte ai culti ebraici di tutti i gruppi, orthodox and progressive. Aren’t they jew? E da voi in Italia le comunità ebraiche diventano sempre più piccole…
Da noi è meglio… – mi dice un compagno delle scuole elementari ebraiche di Torino, cui racconto la mia esperienza reform. – Vuoi mettere il fascino delle funzioni nel tempio grande di Torino, con la cantillazione dell’officiante e la risposta dei fedeli che rimbombano nella grande sala (anche se a causa dell’eco si capisce poco…)? Io non sono religioso – mi fa – ma al tempio vado soprattutto per motivi estetici, poetici… Tu dici che nell’ebraismo c’è poco rinnovamento, ma nei secoli qui le cose sono cambiate da così a così. Dal 1600 al 1848 molti di noi, miserabili, nel ghetto di Torino vivevano in 10 in una stanza. Tu le sai ste cose, che sei architetto. Alla fine dell’800 la sinagoga, negli intenti dei nostri bisnonni da poco usciti dal ghetto, doveva in qualche modo ricordare una chiesa, perché noi eravamo italiani uguali agli altri italiani, anche se di fede israelitica. La nostra chiesa aveva tutti i banchi in schiera rivolti verso l’officiante, che pregava dando la schiena al pubblico. Il tempio piccolo di adesso, invece, che per me è uno dei più belli del mondo, negli anni ’70 del secolo scorso è stato costruito in forma tradizionale, come i piccoli templi dei ghetti piemontesi: con la bimà al centro ed i banchi tutti intorno. E ti ricordi che nel tempio grande durante le feste qualcuno suonava l’armonium? Come era bello…. Molti ebrei pii quando eravamo piccoli non conoscevano l’ebraico: recitavano le preghiere a memoria senza saperne il significato, molti cattolici religiosi ripetevano le giaculatorie in latino, lingua per loro sacra ma misteriosa. A scuola imparavamo a leggere l’ebraico, ma la lingua no. Shemàŋ Israel, recitavamo al mattino, appena entrati in classe. Chissà perché altrove invece dicevano shemà… – È vero! – rispondo – e poi i bambini dell’orfanotrofio, che la nostra maestra trattava malissimo, nei giorni festivi erano obbligati a garantire che al tempio ci fosse minian. Effettivamente qualche rinnovamento c’è stato…
La politica. Di rinnovamento in campo ebraico ho discusso con uno storico, impallinato di ebraismo. Le sue affermazioni sono un po’ apodittiche, schematiche, ma sintetizzano bene il suo pensiero – Tutti sanno – mi dice – come sono andate le cose: per duemila anni, ovunque nella diaspora voi ebrei, disarmati ma spesso perseguitati, vi siete difesi, quando potevate, con la conversione o con la fuga, portandovi dietro le uniche armi che avevate: la cultura e la competenza professionale. Quasi tutti sapevate leggere, scrivere e far di conto in un mondo dove i pochi a possedere questi strumenti erano quasi solo i nobili ed i preti. Mentre i vostri bisnonni nell’Italia liberale uscivano dai ghetti, altrove, nell’Europa dell’est, gli ebrei vi rimanevano reclusi, vittime di disprezzo popolare, razzie e pogrom sanguinosi. L’aspirazione al ritorno nella terra d’Israele, ripetuta, sai bene, per duemila anni nelle preghiere quotidiane, si è avverata con il pensiero e l’azione del sionismo, spinta dalle stragi dei pogrom e della Shoah. Secondo me il popolo d’Israele, deriso dagli altri come femmineo e parassita o creduto cultore di riti satanici, si è armato “come un vero uomo” e ha preso in mano il suo futuro partendo dal dissodamento della terra deserta. I sionisti socialisti della prima generazione hanno redento sotto il sol dell’avvenire la stessa terra che per i religiosi sarebbe tornata al popolo di Israele solo con l’arrivo del Messia. I religiosi più tradizionalisti, in minoranza nel dopoguerra, si oppongono al sionismo laico non messianico, ma con gli anni crescono di numero e di peso politico, fino a formare oggi partiti nazionalisti, razzisti, xenofobi e violenti. Scusa la sincerità – mi dice – ma per loro la Terra Promessa, abitata per secoli dai palestinesi, diviene oggetto di idolatria, da liberare dall’occupazione degli estranei, perché destinata dai Sacri Testi al Popolo d’Israele. Simmetricamente, dalla parte palestinese cresce l’aspirazione alla Jihad, non più sforzo spirituale ma aggressione bellica, la Guerra Santa contro gli infedeli, aspirazione che coinvolge, bene o male, parte del popolo islamico a livello mondiale. In Israele, sotto la pressione degli attentati, dei missili palestinesi, dell’ostilità dell’Iran e dell’ONU, crescono i partiti della destra. Il sionismo socialista della prima ora, del quale il vostro amico Israel De Benedetti, mancato da poco, è stato esponente di valore, perde gradualmente potere. Il primo di novembre gli israeliani saranno chiamati al voto per l’ennesima volta in pochi anni per la nomina del nuovo parlamento. Probabilmente la tendenza ad avvicinarsi alla destra sovranista di Polonia, Ungheria e Turchia sarà confermata anche questa volta. – E la diaspora? – faccio io – Molti ebrei non possono più essere considerati diasporici, perché fanno l’alià come i pendolari, un po’ in Israele, un po’ fuori. Quello che nei secoli è stato un viaggio lungo, costoso, e che poteva mutare una vita, oggi non lo è più. Ma è probabile che i due mondi, quello diasporico e quello israeliano si allontaneranno sempre di più. – Alcune tendenze sono contraddittorie – dice lui – In campo religioso, per esempio, molti rabbini della diaspora tendono ad uniformarsi agli orientamenti dei rabbini israeliani. Negli Stati Uniti la comunità ebraica, la più numerosa dopo quella di Israele, rimane in maggioranza più legata al partito democratico che a quello repubblicano. In Italia le elezioni politiche sono state il 25 settembre. Gli ebrei delle comunità di Roma e di Milano sembrano in maggioranza tendenzialmente orientati a destra. Alcuni non nascondono di votare la Meloni, che non smentisce di simpatizzare per gruppuscoli della destra estrema, alcuni dichiaratamente antisemiti.
E voi?.. – mi fa lui, io rispondo: – Ha Keillah, il nostro giornale, forse l’unico periodico ebraico italiano di sinistra, esce da 47 anni e rimane periodico ebraico italiano di sinistra. Rinnovamenti? Stiamo modificando il nostro sito on line e forse, dico forse, sarà diverso, ma sui rinnovamenti, per favore, calma e gesso…
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