di Piero Meaglia e Ermanno Vitale

 

Ermanno Vitale è stato professore ordinario di Filosofia Politica presso l’Università della Valle d’Aosta.

Piero Meaglia ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia del pensiero politico e delle istituzioni politiche a Torino. È autore di diverse pubblicazioni di analisi politica e scrive sul periodico “La Voce del Canavese” di Chivasso.

 

1.Una lettera da respingere al mittente?

Circola da qualche tempo in rete – fra i vari luoghi dove si può trovare ci limitiamo a indicare la pagina web del Coordinamento dei cattolici democratici: https://www.cattolicidemocratici.it/ 

  – una “Lettera agli Ebrei della Diaspora” che vede come primo firmatario Raniero la Valle e a seguire un po’ di nomi di associazioni e singoli tra cui spiccano i Comitati Dossetti per la Costituzione, Domenico Gallo, giurista, Elena De Monticelli, filosofa, Raffaele Nogaro, vescovo cattolico, Elena Basile, ambasciatrice, Luigi Ferrajoli, giurista, Giovanni Ricchiuti, vescovo cattolico, presidente di Pax Christi Italia.

Una premessa: la lettera merita di essere letta nella sua integrità, di modo che ogni lettore possa formarsi un giudizio, sia sui contenuti sia sui toni della medesima, scevro da involontarie distorte interpretazioni da parte nostra.

Secondo quanto a noi è dato intendere, l’intenzione della lettera è far presente agli ebrei della diaspora una duplice angoscia che deriva ai firmatari dalla guerra in atto nella Striscia di Gaza e in Libano: l’angoscia per la strage di civili palestinesi, in primo luogo, e per il timore che la condotta di Israele sia, alla fine, autodistruttiva, in secondo luogo. L’invito che ne consegue, in parte implicito in parte esplicito, consiste nel chiedere agli ebrei diasporici di alzare la loro voce per modificare le posizioni del governo israeliano, quasi che questo dibattito non fosse già in corso sia in Israele sia fra “gli ebrei della diaspora”.

Questo è, a nostro giudizio, il senso complessivo di una lettera che tocca però tanti temi assai controversi, sia politici sia teologici, e che ha già suscitato reazioni decisamente negative, come ad esempio quella di Sergio Della Pergola al link: https://moked.it/blog/2024/11/04/ebrei-sergio-della-pergola-risponde-a-raniero-la-valle/ ),  che la taccia di “anti-ebraismo” e si conclude così: “Alla perversa deformazione della realtà e all’ossessivo pathos missionario emergente dalla lettera di Raniero La Valle rispondiamo: respinta al mittente”.

2. Per un sincero “invito al colloquio”. Due considerazioni

Confessiamo che la tentazione di limitarci a rimandare alle puntuali e analitiche osservazioni di Della Pergola è stata davvero forte. Ma, nello sforzo di non lasciar cadere il dialogo, vorremmo aggiungere due brevi considerazioni lato sensu “pedagogiche”, vale a dire relative alle modalità e allo stile che dovrebbe avere, per dirla con Norberto Bobbio, un “invito al colloquio” al fine di non essere immediatamente respinto al mittente.

La prima considerazione. La lettera, nella sostanza, è un invito agli ebrei della diaspora a fare quanto loro possibile per influire sulla politica del governo di Israele. Un invito a modificare questa politica, quella del governo Netanyahu, e a tener conto delle ragioni dei Palestinesi e delle terribili condizioni della popolazione soprattutto di Gaza, e a trovare sinceramente e concretamente una prospettiva di pace duratura nell’interesse di tutta la “famiglia umana” di cui, chissà perché, un piccolo Stato è chiamato a farsi specialmente carico.

Insomma: Israele sbaglia, e voi “carissimi Ebrei” della diaspora dovete dirlo a Israele, e sollecitare un cambio di politica.

Perché una lettera simile i firmatari non la mandano anche alla “diaspora” (perdonate l’espressione impropria) araba, palestinese, islamica? Per invitarla, ad esempio, a rinunciare alle pronunce aspre contro gli “ebrei”, ai passi di documenti come il programma di Hamas, alla propaganda antiebraica di personaggi come l’imam di Torino che a Palazzo Nuovo predicava contro Israele? Forse che gli Ebrei, o meglio gli Israeliani sono molto cattivi, mentre gli arabi, i palestinesi e gli islamici che vivono nei paesi occidentali, e nei loro paesi di origine, sono molto buoni, puri, innocenti? Perché la lettera non sollecita i palestinesi a premere sul governo dell’Iran, e su Hamas e Hezbollah, affinché rinuncino all’obiettivo di distruggere Israele e a ucciderne gli abitanti? E già che ci siamo la smettano di impiccare gli oppositori interni?

Ma la lettera invita solo gli Ebrei della diaspora a premere sul governo di Israele.

La seconda. Qui non è questione di sciorinare i sacri principi – il confronto, la tolleranza ecc. – su cui speriamo di essere tutti d’accordo ma di esaminare se questa lettera è adeguata a aprire appunto una riflessione proficua (razionale, tollerante) su una delle tragedie del nostro tempo.

Il dubbio che vorremmo condividere è che lo scopo del dialogo – se questo era lo scopo – sia stato miseramente mancato visti i toni e le affermazioni perentorie di questa lettera. Per solito, quando si vuole dialogare, si interroga “socraticamente” (o “bobbianamente”) l’altro, chiedendogli che cosa pensa di questa o quella situazione, senza sentenziare. È questo lo stile della lettera? Non ci pare. Per fare solo un esempio, si può aprire un dialogo serio con gli ebrei della diaspora accusando Israele di mettere in atto condotte “in odore di genocidio”? L’espressione è ambigua, insinuante, tanto più che la questione è della massima gravità. Si può essere forse in odore di santità, ma non di genocidio. Ci sono, se ci sono, elementi chiari, documentali, appunto razionali, per parlare di genocidio o no? Della Pergola presenta elementi fattuali che negano quest’ipotesi, mentre la lettera si limita a quest’espressione in stile “qui lo dico e qui lo nego”, ossia un allusivo “in odore di”, che mette sul piatto un’accusa – la più infamante di tutte – senza corredarla con prove consistenti, ricalcando invece la più triviale propaganda “propal”. È questo il modo in cui i firmatari pretendono che gli Ebrei della diaspora li ascoltino e li prendano sul serio, disponendosi magari a riconoscere gli errori e le responsabilità di Israele? Se secondo i firmatari questo è il modo, a noi non resta che augurare loro buona fortuna.

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