Intervista a cura di Alberto Jona Falco

Roy Chen arriva nel foyer del Teatro, a questa presentazione, senza indugi, sentendo anche il peso della responsabilità di essere israeliano, in Europa, in questo momento; lo fa sereno e determinato. Si presenta con i suoi occhialini tondi, lo sguardo ironico, il dolcevita e, appuntata alla giacca, la spilla con il fiocco giallo che ricorda gli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei loro carcerieri, si alza davanti alla Compagnia, alla regista, di fronte a tutti i giornalisti, si porta al centro della scena e dice in perfetto italiano:

“Caro amico anche io piango, piango per i morti e i bambini palestinesi di Gaza, piango per quello che sta succedendo lì, come spero che tu pianga per i morti ammazzati, i feriti, i violentati e i rapiti del 7 ottobre”.

Dopo queste sue parole non possiamo lasciarlo andare via senza chiedergli qualche approfondimento e lui accetta volentieri di rispondere a 12 domande per Ha Keillah:

Roy la prima domanda è molto molto intima, ma non pensare male, come preferisci che venga scritto il tuo nome quando si usano le lettere latine? Roy,Roee, Ro’i o in un altro modo? Noi fino ad adesso abbiamo usato la versione che c’è sulla locandina e sulla versione del testo tradotto dall’ebraico da Shulim Vogelman per Giuntina, ma se vuoi proseguiamo scrivendolo come preferisci
Ro-i è un po’ difficile da pronunciare, allora: Roy! Mi piace liberarmi da Ro-i quando sono all’estero.

E adesso un’altra scelta, parliamo prima di Israele o del tuo spettacolo, cosa preferisci?
Noi prima vorremmo parlare delle questioni più amare, per concludere questo pezzo con un po’ di dolcezza, ma scegli tu: il calendario ci aiuta, l’amarezza del Maror di Pesach ci interroga ogni anno, quindi decidi serenamente.
Parliamo prima di Israele, ma anche perché Pesach è la festa della Libertà, una parola che per me è sempre stata e sempre sarà particolarmente importante. Ma coloro che furono schiavi e oggi hanno vinto le elezioni, dovrebbero ricordare che la nostra libertà non può andare a scapito della libertà degli altri.

Ok parliamo di Israele, noi abbiamo letto una lunga intervista di Grossman qualche giorno fa su un importante giornale italiano: quale pensi debba essere il ruolo degli intellettuali Israeliani in questo momento?

Per riflettere la realtà interiore, per ascoltare il battito del cuore, per ispirare la costruzione di ponti sugli abissi, per criticare tutti coloro che commettono ingiustizie, per parlare onestamente e in modo trasparente, per riscaldare le anime e sperare, sperare, sperare.

Quale pensi sia invece il ruolo degli ebrei della Diaspora e se vuoi in particolare quelli italiani che sono pochissimi, ma che vivono la responsabilità di avere un ruolo nella società assegnato dalla storia del ’900?
Ogni ebreo, in diverse occasioni, è tenuto a rappresentare l’intera nazione, in Israele e in esilio, a volte lo facciamo con orgoglio, a volte con imbarazzo. Voglio dirvi che sentiamo il vostro calore da lontano e l’enorme lavoro che fate per proteggere il nostro popolo e lo stato d’Israele, soprattutto in giorni difficili come questo. Yuval Noah Harari ha detto: “Essere unici è grandioso, ed è importante mantenere la nostra unicità, ma essere unici non significa essere superiori”, questa è una frase che porto con me.

Cosa pensi dell’ondata di antisemitismo che sta bruciando in Occidente (USA, Europa, università e organizzazioni internazionali…)?

Quando qualcuno grida “Dal fiume al mare” intende uno spazio libero dagli ebrei, chiede la distruzione di Israele. Il mio naso ebreo sente subito odore di antisemitismo. Tuttavia, non si deve pensare che chiunque critichi Israele sia antisemita. Ogni governo merita critiche, merita di affrontare i propri fallimenti e nessun paese è perfetto. E non dobbiamo confonderci.

Storicamente Israele ha sempre fatto parecchia fatica a comunicare una buona immagine di sé, a raccontarsi positivamente, per evidenti incapacità diplomatiche e di non gestione della narrazione, se non in alcuni ambiti (tecnologie, servizi segreti e militari). Tu sei un narratore, cosa pensi dovrebbe cambiare?

Per cambiare la storia, dobbiamo cambiare il governo. È necessario rimuovere gli estremisti dal potere e correggere le ingiustizie. Abbiamo tante, tantissime storie straordinarie da raccontare, ci sono persone dal cuore d’oro in Israele, preziose, sagge, ma in questo momento sono nelle mani di persone stupide, opportuniste e pericolose. Credo che la situazione cambierà presto.

La Sinistra nella storia dell’Occidente si è occupata di difendere i diritti degli ultimi, di coloro che non ne avevano. All’inizio della storia di Israele ha sposato il sogno Socialista Sionista, poi con il passare degli anni man mano l’entusiasmo si è spento e prima per la politica dei blocchi, poi per molti altri motivi oggi sono solo talvolta le Destre a sostenere le ragioni di Israele, nascondendo in realtà l’appoggio a Netanyahu. Quale è la tua opinione?

L’intervista comincia a confondermi… Non sono né un politico né uno storico. Sono uno scrittore e un drammaturgo.

Passiamo allora subito al tuo spettacolo adesso: Ci spieghi il gioco che hai fatto e che ha ispirato CHI COME ME?
È un gioco pensato per rompere il ghiaccio, non ci sono vincitori né vinti. I partecipanti scoprono chi nel gruppo condivide qualcosa in comune con loro.

Attraverso il disagio mentale che hai scelto di affrontare in scena, parlando dei giovani attraverso i giovani, hai assegnato al Teatro un ruolo magnifico, quello di provare a guarire il mondo (forse attraverso anche il concetto ebraico di un Tikkun Olam). Tu che ormai sei nel teatro da oltre 17 anni come pensi si possano portare i giovani a teatro e offrire loro questa straordinaria medicina?

Mi sono sempre trattenuto dal dire che il teatro guarisce, finché non sono arrivato in un istituto di salute mentale e lì ho visto degli adolescenti venire a un corso di teatro.

Un ragazzo violento è diventato gentile, una ragazza che non voleva parlare ha iniziato a cantare, gli adolescenti scrivevano poesie, monologhi, ridevano, lavoravano insieme, è stato fantastico.

Lo spettacolo “Chi Come Me” a Tel Aviv ha portato nuovo pubblico di adolescenti al Teatro Gesher, da quattro anni la sala è piena di ragazze e ragazzi e non c’è niente di più emozionante di questo. Vengono a vedere persone come loro sul palco.

Cosa ti auguri per il futuro di questo spettacolo e del suo adattamento italiano?
Andrée Ruth Shammah ha fatto uno spettacolo miracoloso. Il cast italiano è fantastico, è composto da attori di eccezionale talento, sia adulti che giovani, sono sicuro che hanno creato un dialogo unico con il pubblico. Il testo, nella sua versione israeliana, è pubblicato come libro edito da Giuntina, già nelle librerie.

La penultima domanda: il tuo prossimo progetto? (se hai già qualcosa in cantiere)

A Pesach al Gesher andrà in scena il mio adattamento per bambini di Winnie the Pooh, a maggio al Teatro Thalia di Amburgo andrà in scena uno spettacolo che sto scrivendo dal titolo State of Affairs.

Un’ultima domanda: quando tornerai in Italia e in quale occasione?
Nel 2025 sarà pubblicato in italiano il mio ultimo romanzo da Giuntina. Spero di fare altri progetti nel teatro italiano!

Grazie davvero, ti abbracciamo Roy, come fa il tuo testo con tutti noi che abbiamo potuto goderne.

 


Chi Come Me


Chi è Roy Chen? È uno scrittore, traduttore e drammaturgo israeliano.

Gli avi di suo papà arrivarono in Israele, allora Palestina, nel 1492 a seguito dell’espulsione dalla Spagna, mentre la famiglia materna dal Marocco nel XX secolo. Lui nasce a Tel Aviv nel 1980 ed è cresciuto tra gli affetti e i consigli, tra gli stimoli e le dinamiche di una nonna hostess poliglotta e un nonno gioielliere, un altro nonno pescatore e una nonna analfabeta, ma capace di condividere l’antica scienza dei sentimenti del cuore.
Molto giovane, seguendo una specie di personale rivolta identitaria, lascia la scuola, imparando da solo il russo. Diventa un traduttore di letteratura classica dal russo all’ebraico. Traduce Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Cechov, e molti altri.
Prima della fine del secolo inizia a frequentare il teatro, anche professionalmente.
Uno dei teatri più importanti di Israele, il Teatro Gesher, lo chiama nel 2007 come drammaturgo stabile.

In Italia Giuntina Editori ha pubblicato il romanzo Anime del quale Meir Shalev ha detto: “Maledizione, perché non è venuta in mente a me questa idea? Sarà per la prossima reincarnazione…”.  Mentre Eskol Nevo lo ha definito “Selvaggio, innovativo, sexy come il carnevale di Venezia”. Ed infine HAARETZ ha scritto “Un’opera straordinaria, eccitante, un viaggio sulle montagne russe, fatto di emozioni forti e umorismo ebraico”.
Ma quando lo incontro è per la pièce teatrale Chi Come Me, in occasione della presentazione a Milano, dove è venuto per la prima dello spettacolo che Andrée Ruth Shammah ha tratto dal suo testo Chi come me, in scena al Teatro Franco Parenti. È un testo sul disagio psichico negli adolescenti, ispirato a un lungo laboratorio teatrale tenuto nel 2019 in un centro di salute mentale di Tel Aviv, dove Roy fu invitato a partecipare con una lezione di teatro. ” Era estate e mi hanno chiamato dal Centro Abravanel. Era ora! Ha commentato mio padre”.
Lo spettacolo che ha visto il suo debutto a Giaffa nel 2020, è tuttora in scena in Israele, grazie all’enorme successo ottenuto.

L’adattamento della regista è stato fatto, rivedendo insieme all’autore il testo, trovando nuovi spunti nei personaggi creati da Roy, ma, sottolinea la regista, “Ho lasciato che le cose accadessero e questo metodo ha funzionato!”
Il testo è nato dall’esperienza con adolescenti “fragili”, ma durante il casting, “Non abbiamo cercato chi quelle fragilità le avesse, ma chi le rappresentasse in maniera universale” aggiunge Shammah.
Lo spettacolo potrebbe rappresentare i dolori, le pulsioni, ma riesce anche a far condividere le gioie e gli umori degli adolescenti in scena. “Si ride, si sorride, ci si commuove, si riflette” spiegano gli adulti che calcano il palcoscenico. È una riflessione sugli adolescenti in genere e non solo sul disagio mentale, del quale si è occupato per la sua intera esistenza Franco Basaglia (a Marzo 2024 sono stati celebrati i 100 anni dalla sua nascita) a cui viene riconosciuta ancora oggi, la lungimiranza della sua visione e “l’apertura” ad un’interpretazione nuova del fenomeno.

Abbiamo raccolto anche qualche commento degli attori attori:

Paolo Briguglia, in scena è il Dott. Baumann, direttore del reparto giovanile di “Oròt”, fa una pausa e poi esclama: “Il testo di Roy ascolta i ragazzi e dà loro speranza”.

Pietro Micci e Sara Bertelà che interpretano tutti i genitori dei giovani protagonisti, essendo nella vita reale genitori di adolescenti, riferiscono come il copione li interroghi sui propri figli, quanto talvolta non li riconoscano, quanto Roy abbia scritto un testo di ascolto, per recepire la fatica dei ragazzi di cercare un futuro.

Elena Lietti, nel ruolo di Dorit, la nuova insegnante di teatro, confessa: “Avevo bisogno di tornare bambina e credo fermamente nel potere terapeutico del teatro”.

E poi ci sono i magnifici 5 ragazzi, i veri protagonisti dello spettacolo:

Samuele Poma è Barak (16 anni) e racconta che è stato inserito nel casting dopo una incredibile serie di circostanze fortunate, legate al pianto di un bebè in una carrozzina all’esterno del Teatro Franco Parenti, che ha incuriosito la regista: lui interpreta un giovane violento che si ingentilisce grazie al potere dell’arte, e per lui questo magnifico testo approfondisce paure ed entusiasmi adolescenziali.

Federico Di Giacomo, è Emanuel (14 anni) un adolescente senza relazioni che racconta di aver ricevuto la convocazione, dopo la selezione, ma di averla inizialmente totalmente trascurata per non aver dato alcuna importanza al messaggio materno, ricevuto sul cellulare, come fanno di prassi tutti gli adolescenti.

Chiara Ferrara, interpreta Alma (17 anni) e da questo testo trae soprattutto l’importanza della parola “abbraccio” che lei riporta su più piani: tra le persone (anche senza contatto fisico), della sala verso gli attori e gli spettatori e anche del testo verso chi lo riceve.

Amy Boda, è Tamara/Tom (15 anni) porta in luce, insieme ai compagni di avventura, temi essenziali e contemporanei come i disagi alimentari e la disforia di genere.

Alia Stegani, interpreta Ester (13 anni) è la più piccola della Compagnia (da alcuni definita affettuosamente una banda) una paziente schizofrenica che cerca fino in fondo se stessa e riesce ad esserlo solo grazie al teatro.
Tutti insieme accolti per alcune settimane nel profondo ventre della nuova sala A2A del Franco Parenti, inaugurata alla presenza di Gianpiero Borghini, Presidente della Fondazione Pierlombardo, in questa occasione vestita con l’incredibile allestimento scenico di Polina Adamov, compagna di vita di Roy

 Roy li ha ascoltati tutti, adulti e ragazzi, e per ognuna delle loro parole si commuove.
Li ha conosciuti a gennaio di questo anno e adesso, dopo poco più di due mesi, li trova così magicamente perfetti per essere i “suoi personaggi”.

A cura di Alberto Jona Falco

 

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