SIAMO A ENGELBERG
di Franco Segre
Sprazzi di memoria
SIAMO A ENGELBERG
È ancora primavera quando riceviamo la notizia che lasceremo la Casa d’Italia! Abbandoneremo Lugano! Siamo increduli: abbiamo ascoltato bene? L’annunciatore di turno al tavolo della sala da pranzo ci ha dichiarato che partiremo domani. La nostra destinazione sarà Engelberg, un paese di montagna a mille metri di altezza, nel cantone di Lucerna. Papà e mamma soggiorneranno presso l’hotel Titlis in pieno centro, ridotto a campo di lavoro, mentre io sono destinato a recarmi all’hotel Margerite, periferico, adibito a pouponière, a casa per i bambini. Abituati al Canton Ticino, speravamo in un posto più vicino e meno freddo, ma io sono comunque affascinato dall’idea di fare un lungo viaggio in treno attraversando le montagne del Gran San Bernardo e transitando per Lucerna ed il suo lago.
A Lucerna cambiamo treno e in pochi minuti raggiungiamo il paese di Stansstad sul lago, da cui ci aspetta un trenino a cremagliera che in un’ora sale a Engelberg.
Qui ci accoglie un gran freddo: la strada carrozzabile contiene uno strato quasi uniforme di neve ghiacciata, alto più di un metro, sul quale corrono numerosi i carri-slitta privi di ruote e trainati da cavalli. Le automobili sono rimaste a valle. Le persone che camminano frettolose per la via sono imbavagliate con fasce protettive, in attesa quasi spasmodica di ripararsi in luogo chiuso. Alcune persone esperte mi conducono, insieme ad altri bambini, all’hotel Margerite, situato ad un’estremità del paese, destinato a residenza per bambini. Qui la mamma mi dice che deve lasciarmi in mano ad alcune assistenti infantili, per recarsi all’hotel Titlis, adibito a residenza per rifugiati adulti. Tornerà nel pomeriggio.
Una donna robusta di mezza età ha l’incarico di svestirmi dai panni bagnati e di porgermi abiti asciutti, che sono piuttosto larghi per la mia taglia. Per fortuna c’è una grossa stufa accesa per riscaldarmi. La nuova assistente è una donna di mezza età, una svizzera tedesca che non sa l’italiano e, per farsi capire, deve servirsi di gesti e di parole isolate in francese imparate da poco.
Mi trovo circondato da altri bambini, per lo più italiani, con cui faccio subito amicizia. Mi mescolo presto con altri amici provenienti da Lugano. Il pranzo è abbondante, ma le assistenti si scandalizzano quando rimpiangiamo la amata pasta asciutta all’italiana. Una di loro dirà a mia mamma in lingua italiana: “Se lei vuole educare correttamente suo figlio, gli insegnerà a rifiutare la pasta asciutta!”. Così impariamo a gustare le brodaglie sostitutive.
Nell’assegnazione agli adulti degli incarichi di lavoro, la mamma, pur di starmi vicina, si fa concedere l’assistenza ai bambini. È così costretta a percorrere al mattino presto la strada ghiacciata dall’hotel Titlis al Margerite, sfidando i 30 gradi sotto zero, per giungere al luogo di lavoro.
Nel primo pomeriggio ci attende una bella sorpresa: tra i rifugiati di Engelberg troviamo all’hotel Margerite i nostri cugini della famiglia Sinigaglia di Brescia: la Tina con il marito Giorgio e la figlia Ada, una bambina che ha quasi la mia età, con cui potrò giocare. Giorgio è un illustre chirurgo che si adatta a fare il pediatra presso la dimora infantile dell’hotel. Ada diventa subito l’amica insostituibile, con cui potrò inventare ed attuare ogni sorta di giochi, prima in casa e poi all’aperto, con i primi tepori primaverili.
Passano così le giornate fredde con giochi ed incontri in una sala riscaldata con una stufa a legna e con l’assistenza della mamma. Questa non regge tuttavia l’irrequietezza dei bambini ed è quindi costretta a farsi assegnare un altro incarico: verrà addetta alla stireria. Nei momenti di riposo troverà il tempo per insegnarmi i rudimenti di ebraismo. Imparerò così il dovere ebraico di oppormi ad ogni forma di idolatria.
In un gelido pomeriggio tutti i bambini sono radunati in cerchio nella stanza di soggiorno attorno alla stufa, e le assistenti sono impegnate ad insegnarci a cantare, ballare ed indurci ad apprezzare alcune opere d’arte pittoriche riprodotte in vivaci figurine, che passano di mano in mano, con i più vari commenti. Non so per quale motivo mi sono messo in mente che quelle immagini rappresentino figure idolatriche che gli ebrei non possono accettare. Nel cerchio dei bambini quelle figure scorrono di mano in mano, con pareri entusiastici e con approvazione generale. Anch’io dovrò esaminarle ed esprimere il mio parere: come dovrò fare? Man mano che si avvicinano il cuore mi batte più forte. Mi viene in mente la frase della Torah che la mamma mi ha insegnato “Non andare dietro ad altri dèi, scelti fra gli idoli dei popoli che vi sono intorno …”. Indubbiamente quelle immagini rappresentano “altri dèi”. Al colmo dell’agitazione, quando il mio vicino me le passa, le butto a terra con slancio e scoppio in grande pianto, nello sgomento generale. Tutti i presenti, stupiti ed esterrefatti, mi hanno chiesto il perché di quel gesto, ma non ho mai osato confessarlo.