Su Elsa Morante e La Storia

di Michele Sarfatti

In queste settimane siamo tornati a leggere e a commentare il libro di Elsa Morante La Storia. Romanzo, pubblicato nel 1974. E parliamo di nuovo, come cinquant’anni fa, di chi è che “fa” la storia, di quale sia il “ruolo” dei diseredati, di quale posto assegnare alla pietà nella narrazione, ecc.

Tuttavia, anche questa volta, di nuovo, poco o punto si parla della storia della persecuzione antiebraica, che Morante incluse nella sua “grande-piccola Storia”. Lei aveva vissuto un aspetto particolare del tema: secondo la normativa fascista la madre era “di razza ebraica” e il padre no, quindi Elsa era “razzialmente mista”, quindi conosceva dal di dentro la dolorosa questione della definizione giuridica e sociale di ciascuno dei tre. E ne parlò con pensieri acuti.

“Nora Almagià … era ebrea … però lei non voleva farlo sapere a nessuno, e se n’era confidata solo con lo sposo e con la figlia [Ida] … Aveva spiegato alla figlia, fino da piccolina, che gli ebrei sono un popolo predestinato dall’eternità all’odio vendicativo di tutti gli altri popoli … Era stata lei stessa a volere Iduzza battezzata cattolica, come il padre … [Nel 1938] certi gerarchetti fascisti … diffusero un giorno la notizia ufficiosa di un prossimo censimento di tutti gli ebrei d’Italia, con obbligo della denuncia personale. E allora da quel momento Nora non accese più la radio, nel terrore di ascoltare l’annuncio ufficiale dell’ordine governativo, coi termini di tempo per la denuncia. Era il principio dell’estate … Di tutti i possibili provvedimenti minacciati contro gli Ebrei, quello che più immediatamente la spaventava, era l’obbligo previsto di denunciarsi per il censimento … Le veniva idea di lasciare Cosenza, di trasferirsi altrove. Ma dove, e da chi? … Per quanto lei seguitasse a farsi proposte diverse, esaminando tutti i continenti e i paesi, per lei nell’intero globo, non c’era nessun posto … Venne a concludere che l’unico luogo dove poteva essere accolta, come ebrea fuggita fra un popolo d’ebrei, era la Palestina. E mentre già s’avanzava la calura estiva … prese la direzione del mare … Il caso fu archiviato sotto il titolo: morte accidentale per annegamento. Nora, con la sua morte, aveva preceduto di alcuni mesi i decreti razziali italiani, che a quest’ora la bollavano fra gli ebrei senza rimedio”.

Più oltre, Morante menzionò anche il numero e il comma dell’articolo della legge fascista che imponeva ai perseguitati di denunciare in Comune la propria condizione. Certo, lo fece con lo stile di una letterata, e non con le modalità cui lo storico si deve attenere. E però la sua pregevole narrazione contiene pennellate che rappresentano molto chiaramente la realtà immediata della situazione: “gli ebrei erano diversi non solo perché ebrei, ma anche perché non ariani”.

Quest’ultima frase fu ripresa nella recensione del libro fatta da Oreste Del Buono, che oggi possiamo leggere nella rassegna pubblicata nel 2018 da Angela Borghesi, L’anno della Storia 1974-1975. Il dibattito politico e culturale sul romanzo di Elsa Morante. Cronaca e Antologia della critica. Anche Pier Paolo Pasolini e Guido Lodovico Luzzatto menzionarono il dramma causato dagli obblighi di farsi censire e di autodichiarare la propria razza. Così però non fu per le altre duecento principali recensioni: quella pagina della Storia di Morante fu ritenuta decisamente secondaria. Anche se, trentasei anni prima, una certa parte dei recensori aveva dovuto compilare moduli e questionari, dichiarando la propria “arianità” e potendo continuare a lavorare. Ma il riconoscimento pubblico di ciò sarebbe iniziato solo verso la fine del decennio successivo. Forse grazie anche alle pagine di Elsa Morante.