Intervista a Luciano Assin
a cura di Anna Rolli
Luciano Assin è nato in Italia dove, nel 1957, si erano rifugiati i suoi genitori in fuga dalle violenze dell’Egitto di Nasser. Ha fatto l’Aliah nel 1978, dopo la maturità, e da allora vive nel kibbutz di Sasa, sposato con tre figli e sei nipotini. Si è laureato in Sociologia e risorse umane, ha un master in Storia del popolo ebraico, si è occupato di agricoltura, educazione e turismo. Negli anni 89-92 è stato shaliach (inviato) dell’Hashomer Hatzair in Italia.
Per la prima volta nella storia d’Israele abbiamo centinaia di migliaia di profughi. Io sono uno di loro. Ci sono 100.000 sfollati dal Nord, evacuati da villaggi e kibbutzim che si trovano entro 4 km dal Libano. Hezbollah bombarda quando vuole. Secondo gli accordi del 2006 avrebbe dovuto ritirarsi oltre il fiume Litani, a 30 km dal confine, ma il governo libanese non gode di alcuna autorità nel sud del paese e l’UNIFIL ha dimostrato tutta la sua impotenza. Quindi dovrà occuparsene Israele.
Come vivono i profughi?
Devi lasciare la tua casa e sei costretto a vivere in una stanza d’albergo, spesso con la famiglia, in spazi molto ridotti, nell’inattività forzata. Che fare? Ti trovi un altro lavoro lontano da casa? Alcuni ogni giorno vanno a lavorare a Sasa e la sera tornano indietro. In più c’è l’incertezza. Quando finirà? Si vive con una sensazione di impotenza. Tutto questo ha una grande influenza sulla salute, le malattie si aggravano, il tuo organismo deve affrontare una situazione che non ha mai affrontato prima. In un mese, per lo stress, sono morte 4 persone anziane e malate del mio kibbutz. Noi di Sasa tentiamo di mantenere una struttura comunitaria, le istituzioni, l’istruzione, l’assemblea, la sala da pranzo…altrimenti i legami si sfaldano. Alcuni sono rimasti al kibbutz per la difesa, gli altri sono in due posti differenti. La maggioranza è sfollata in un villaggio vacanza sul lago di Tiberiade e lì abbiamo ricostruito tutto il sistema d’istruzione e la sala da pranzo in comune. Nessuno ci dice quanto durerà, nessuno può saperlo.
È un momento molto difficile.
Israele è il paradiso dei giornalisti, ogni giorno ci sono notizie. Oggi si parla del servizio militare per gli studenti delle Yeshivot (istituzioni educative ebraiche che si basano sullo studio dei testi religiosi tradizionali). I magistrati hanno deliberato il loro obbligo all’arruolamento ma il governo vorrebbe emanare una legge per esentarli, violando il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. È una situazione che si trascina dal ’48, da quando Ben Gurion concesse una dispensa dal servizio militare a 400 studenti ultra-ortodossi. La guerra dura da mesi, cosa mai successa prima, abbiamo avuto 800 caduti e 3.000 invalidi e l’esercito lamenta la carenza di soldati. La fanteria è fondamentale per vincere una guerra e mancherebbero 2 o 3 brigate. Attualmente gli Haredim (ebrei ortodossi) sono il 13% della popolazione e hanno fondato partitini che si occupano soltanto dei propri interessi, con un grande potere perché non è possibile formare una coalizione di governo senza il loro apporto. Il governo concede loro finanziamenti abbondanti perché il 50% degli uomini non lavorano, invece lavora la gran parte delle donne che hanno bisogno di stipendi alti per mantenere le famiglie. Nelle yeshivot però non studiano materie moderne quindi i giovani hanno enormi difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro e i loro dirigenti temono che a contatto con l’esterno molti abbandonerebbero la religione. Invece i credenti che vanno in giro con le kippot srugot (all’uncinetto) lavorano in tutte le professioni, studiano la Torah e rimangono credenti anche dopo il servizio militare. Ai lavoratori tocca mantenere gli Haredim che non producono ricchezza e non pagano le tasse perché in maggioranza vivono al di sotto della soglia di povertà. Un problema grave che si trascina da anni e, in questo momento di pericolo e molto duro per tutti, la guerra è stata un detonatore.
All’ordine del giorno abbiamo due priorità: il rilascio degli ostaggi e la situazione al Nord dove scoppierà una guerra che sarà molto violenta. Netanyahu dice che farà di tutto per raggiungere un accordo però ci sono delle linee rosse invalicabili. Gli ostaggi fanno comodo sia ad Hamas che a lui e si parla sempre di liberarne una parte mai di un rilascio completo. Se si arrivasse ad un accordo ci sarebbero le elezioni e Bibi, secondo i sondaggi, ne uscirebbe molto ridimensionato. Per Hamas sono un’assicurazione sulla vita, fin quando avrà degli ostaggi ci sarà sempre una parte della popolazione israeliana che manifesterà per il loro rilascio…Ci vorranno anni.
Cosa pensi di Netanyahu?
Su Bibi da diversi anni pendono tre capi di imputazione e sta facendo di tutto per evitare che il processo arrivi alla conclusione. Non segue altra logica che quella della sua sopravvivenza. Un paio di anni fa abbiamo avuto tre elezioni consecutive perché non otteneva abbastanza voti per formare il governo, per lui è difficile trovare alleati, rimane al potere elargendo fondi governativi ai piccoli partiti della coalizione. Lo votano un milione di elettori. Moltissimi. Come con Berlusconi che rappresentava una parte non indifferente della popolazione. Tre anni fa ci fu la tragedia di Meron: 45 persone morte nella calca in una piccola cittadina, la più grande tragedia civile della storia d’Israele. La commissione d’inchiesta parlamentare, un mese fa, lo ha riconosciuto come uno dei responsabili ma, in piena guerra, una notizia del genere diventa secondaria e già non se ne parla più. In una situazione normale sarebbe stata in prima pagina per settimane e sarebbe stato costretto a dimettersi. Fino ad oggi Bibi non ha designato un delfino, un uomo politico come successore, si è circondato da yes men incapaci di formulare un pensiero autonomo, non esiste critica interna, sono rimaste solo persone mediocri. Quando lascerà il potere ci sarà una faida interna al Likud, forse ci sarà una scissione…
Cosa pensi della guerra ad Hamas?
Nessuno può immaginare una situazione in cui Hamas non venga completamente eliminata. Sarebbe inaccettabile. Va eliminata tutta la struttura militare, tutte le strutture paramilitari e il sistema educativo, ai bambini insegnano già dai 2 o 3 anni ad odiare gli ebrei…Nonostante Israele abbia controllato ciò che entrava a Gaza, hanno costruito 500 km di gallerie, 15.000 razzi che ci hanno sparato contro e organizzato milizie con 30.000 uomini…figuriamoci se avessimo lasciato loro carta bianca. Nessuno ha una soluzione su come sarà il nuovo governo dopo Hamas, però tornare al prima senza aver smantellato le loro strutture è inconcepibile.
Per tutto questo è necessario un accordo con gli USA, fosse pure sottobanco, se non altro perché abbiamo bisogno delle armi che non possiamo produrre. ..
Cosa pensano gli arabi israeliani?
Non si parla della guerra, si tratta di un gentlemen agreement, gli arabi israeliani sono molto cauti in ogni dichiarazione e in qualche modo si va avanti e non ci sono proteste da parte loro. Nei paesi arabi c’è una rimozione totale, pensano che non sia possibile che Hamas abbia commesso quei crimini e che siano tutte fake fabbricate dagli israeliani. In meno di due o tre mesi il negazionismo ha alzato la testa e la maggioranza crede che Hamas sia innocente. In Israele non si affronta l’argomento, la maggioranza degli arabi israeliani si è occidentalizzata e il 7 ottobre sono stati uccisi anche molti di loro e molti lavoratori stranieri.
In MO il rispetto dei diritti umani, all’occidentale, viene visto non come un segno di forza ma di debolezza. Uno dei motivi per cui al Nord ad es. ancora non è scoppiato un conflitto aperto è perché nel luglio 2006 dichiarammo guerra in seguito al rapimento di due soldati israeliani e Hezbollah non aveva previsto una simile reazione. Neanche Hamas si aspettava una guerra di tale portata. I nostri valori sono completamente differenti. Tra i valori dei fondamentalisti islamici primeggia la “morte” che non è assolutamente considerata una tragedia. Il destino è scritto alla nascita. Lo chiamano maktub: “è scritto” e l’uomo non può influire, si muore quando “è scritto”, è il destino. Secondo i fondamentalisti il valore della vita è secondario mentre è importante il martirio, se uccidi innocenti non sei un assassino ma un martire morto per la causa islamica. Esistono due mondi paralleli, tutta la tecnologia arriva dall’Occidente e quindi devono trovare il modo di accordarsi con noi, però uccidere gli infedeli e morire per la causa rimane una buona aspirazione. La concezione del “tempo” è completamente diversa da quella a cui siamo abituati noi. Per i fondamentalisti il trascorrere del tempo non ha alcuna importanza, lavora sempre a loro vantaggio, costringe il nemico a sempre maggiori concessioni per avere indietro gli ostaggi. Per loro è impensabile stipulare la “pace” (Salam) con gli ebrei e con gli altri infedeli, al più sono disposti ad accordi di “tregua” (Hudnà) ma non hanno fretta. Se il tempo passa non importa, morti e distruzioni non importano…
25/04/2024