di Emilio Jona
Ho letto con disagio e sofferenza il libro Gaza davanti alla storia, di Enzo Traverso, noto studioso delle vicende del XIX secolo e della modernità ebraica. Il titolo faceva presumere che si trattasse di un libro che valutasse con gli strumenti dello storico questa vicenda tragica, complessa e ingarbugliata, cercando di trarne una lettura ragionata e un filo conduttore interpretativo razionale e documentato. In realtà invece si tratta di un pamphlet durissimo e unilaterale sui torti e le responsabilità di Israele che appare come il responsabile esclusivo di quanto è accaduto e va accadendo in Medio Oriente a fronte delle ragioni di Hamas che vengono comprese e sostanzialmente giustificate anche nei loro eccessi. I palestinesi sono dunque esclusivamente le vittime e Israele è esclusivamente il loro carnefice.
In questa narrazione è assente la complessità della storia con tutti gli attori e i burattinai che, dentro e fuori dai confini di una terra grande come il Piemonte, tirano le fila o finanziano un conflitto pressoché centenario; così come è nella sostanza assente quella diaspora ebraica e quella parte di società israeliana che da anni contesta la politica dell’estrema destra, che ha tenacemente difeso la convivenza tra arabi ed ebrei su valori umanistici di uguaglianza e di rispetto delle ragioni e dei diritti di ogni cittadino e ha espresso fin dai giorni successivi al 7 ottobre un giudizio radicalmente critico sulla condotta di Israele, a cui riconosce il pieno diritto di difendersi, ma ne condanna la risposta come disumana, del tutto sproporzionata e segnata da clamorosi errori politici e militari. Lo stesso giudizio severamente critico che ha espresso nei confronti del comportamento di Israele in Cisgiordania dove, usando metodi e ragioni razziste e fondamentaliste, il governo israeliano ha sorretto le pretese dei coloni, che hanno espropriato con brutalità e violenza le terre degli arabi, cacciato o ucciso i suoi legittimi abitanti, fondandosi su un fantomatico diritto millenario sancito da sacri testi. Inoltre, nell’indagine di Traverso è totalmente assente, ed è la cosa più grave, un’analisi dell’ideologia e della prassi di Hamas dalla sua fondazione nel 1987, alla sanguinosa cacciata dell’autorità palestinese da Gaza nel 2007 sino ad oggi, col suo arcaico fondamentalismo politico-religioso, il suo totalitarismo, il suo antisemitismo statutario e l’uso della violenza più cieca e indiscriminata. Eppure, Traverso afferma di stare “fuori dal coro” e di voler esaminare il grumo di storia che avvolge Gaza riflettendo con categorie storiche sui suoi usi pubblici, consapevole che non siamo ancora in grado di scriverne la storia. Ma le cose non stanno così perché il criterio a cui Traverso si affida invece è quello dichiaratamente affettivo di mettersi nei panni di chi questa guerra la subisce, il che è una prima aporia che si riflette su tutta l’impostazione del libro, che presenta come interpretazione dello storico quella che invece è una “umanistica” identificazione con la vittima che è un tutt’uno di Hamas con gli abitanti di Gaza.
Traverso dichiara di usare le analogie storiche esistenti con la Seconda Guerra Mondiale come canone interpretativo delle vicende mediorientali e di partire dalle sofferenze inaudite inflitte ai tedeschi durante e dopo tale guerra, e più precisamente da quelle evocate da Martin Heidegger nel 1948, per ribaltarne l’interpretazione e assumere la Germania non come responsabile delle sue passate nefandezze ma come vittima di una persecuzione. I tedeschi avevano perduto la guerra e gli argomenti di Heidegger erano sfacciatamente apologetici e il tema delle sofferenze dei tedeschi sarebbe stato studiato solo negli anni Novanta senza dare più adito a fraintendimenti e a tentativi di assoluzione. Ora secondo Traverso oggi saremmo diventati tutti heideggeriani perché, esattamente come aveva fatto Heidegger, scambiamo gli aggressori per vittime, benché essi oggi siano i vincitori e non gli sconfitti. Con questo uso della storia paradigmatico e parallelo Traverso costruisce alcune inquietanti analogie che egli considera storiche, e che si concludono nell’affermazione esplicita che gli israeliani sarebbero come i nazisti, la distruzione di Gaza da parte di Tsahal ricorderebbe esattamente quella dei tedeschi del ghetto di Varsavia nell’aprile 1943, nei combattenti palestinesi che sgusciano fuori dal tunnel rivivrebbero i resistenti ebrei nelle fogne del ghetto e la loro violenza sarebbe comprensibile anche nei suoi eccessi, com’era quella rivoluzionaria esaltata da Fanon e da Sartre ai tempi della guerra d’Algeria.
Il fatto poi che l’esplosione di odio antiisraeliano del 7 ottobre abbia una lunga genealogia e in parte trovi una sua giustificazione nella violenza israeliana nei territori occupati viene enfatizzato sino a rappresentare tale violenza come l’unica causa del feroce massacro. Essa, dunque, non solo si lega strettamente alle sue violenze passate ma costituisce la logica conclusione di una tragedia “meditatamente preparata”. Quindi la violenza contro la popolazione di Gaza non costituisce solo un riprovevole crimine di guerra, ma un vero e proprio atto di genocidio perché la distruzione di Gaza non è un fatto accidentale e sostanzialmente conseguente al 7 ottobre con le finalità proprie di una guerra, ma il vero e unico “obiettivo dell’offensiva israeliana”: la distruzione del popolo palestinese da lungo tempo programmata e infine realizzata. Traverso usa come prova esaustiva e generalista di questo obiettivo alcune affermazioni ignobili e inaccettabili dei ministri razzisti del governo israeliano, lascia in ombra tutto ciò che questa affermazione esclude e, in primo luogo, la stessa definizione di genocidio.
In questo contesto di interpretazioni paranoidi ha un suo spazio anche l’analisi del sionismo che diventa un tassello che completa e rafforza le certezze di Traverso su dove abitano il male e il bene, perché anche il sionismo viene assunto, interpretato e catalogato, non nella chiarezza della sua genesi (i pogrom russi e l’affare Dreyfus) e nella complessità delle sue componenti, dove l’aspetto laico, liberalsocialista è stato del tutto prevalente, ma come parte integrante della peggiore forma di suprematismo bianco, come mimesi ebraica dei nazionalismi europei, e infine persino l’idealismo di un comunismo integrale dei primi kibbutzim socialisti viene sconvolto e “trasformato” in una trappola che realizzava ab origine un implacabile sistema di esclusione della parte araba della Palestina.
La stessa documentazione mostrata da parte israeliana degli scempi commessi dai militanti di Hamas e di parte della popolazione di Gaza il 7 ottobre viene depotenziata affermando, in modo peraltro vago e non documentato, che in parte potrebbe trattarsi di fake news (p.45), anche se, contraddicendosi, poche pagine dopo (p.57) Traverso ammette le violenze di Hamas e manifesta orrore per il massacro di bambini israeliani (p.71).
Pure la mattanza dei partecipanti al rave party viene letta in quest’ottica distorta, perché per un verso è indicata come un crimine abominevole ma per l’altro viene sminuita per il carattere provocatorio del fatto che il rave party fosse stato previsto e realizzato presso i confini, in una zona protetta da un muro elettronico ai margini della miseria e della prigione a cielo aperto di Gaza. E anche il riconoscimento che il fine non giustifica i mezzi, che certi mezzi sono incompatibili con i fini umanistici e che la libertà non può essere conquistata uccidendo deliberatamente persone innocenti, si scontra con la giustificazione della legittimità dell’uso di mezzi incongruenti e riprovevoli di fronte a un’occupazione “disumana e inaccettabile”.
Quanto agli accordi di Oslo si dicono cose sostanzialmente inesatte: si afferma che siano stati sabotati da Israele dimenticando che essi avevano trovato, oltre che nella destra israeliana, proprio in Hamas una radicale opposizione alle trattative in corso tra Arafat e Rabin, con attacchi suicidi e uccisioni di pacifici abitanti di Israele.
Aggiunge Traverso che il comportamento di Hamas non va idealizzato ma compreso nelle sue radici, nella sua popolarità tra i giovani e nella sua ideologia che, dice incautamente, non sarebbe stata imposta con mezzi coercitivi, mentre le sue forme di lotta rientrerebbero perfettamente nella definizione classica del partigiano, per la velocità e la disinvoltura con cui si muove in superficie e nei labirinti dei suoi tunnel, per il suo essere un combattente irregolare spinto da forti motivazioni ideologiche, radicato in una popolazione che lo protegge. Che un partigiano italiano mai avrebbe commesso un 7 ottobre e che esso costituisca piuttosto che un’azione partigiana un atto simile a quello che hanno commesso i nazisti a Marzabotto non sfiora il pensiero di Traverso. Né tiene conto del fatto che la violenza ebraica negli anni precedenti la seconda guerra mondiale era una risposta a quella araba ad essa speculare e che alla Nakba subita dagli arabi nel 1948 seguì l’esodo di centinaia di migliaia di cittadini ebrei dall’Algeria, Egitto, Libia, Yemen, Giordania, così come vengono taciute l’accettazione ebraica e il rifiuto arabo di riconoscere la nascita del nuovo stato in ben più ristretti confini di quelli attuali, l’aggressione che ne è seguita da parte di sei stati 2400arabi e le tensioni e le minacce egiziane che portarono alla guerra dei 6 giorni e poi i tentativi di pace di Rabin, Olmert, Barak, regolarmente frustrati dagli opposti estremismi. Quanto all’antisemitismo Traverso non può non riconoscere che il mondo arabo abbia importato dall’Europa un buon numero di stereotipi antisemiti, fondamentale quello dei “Protocolli dei Savi di Sion”, ma ne sottovaluta la portata e l’uso nell’azione politica e culturale che se ne fa nel campo palestinese che proprio su quei falsi costruisce l’immagine del suo nemico.
Appare infine estremamente debole e compiacente la lettura dello slogan “Palestina libera dal Giordano al mare”, che elude con considerazioni palesemente evasive il fatto che in quella libera Palestina non c’è più posto per una terra israeliana.
Io penso, per concludere, che le mezze verità di Traverso vadano completate con l’altra faccia della luna che, per accecamento o scelta deliberata, è stata cancellata. Ora non è un pregiudizio, ma un aspetto sostanziale della realtà di Hamas che dentro al suo versante patriottico resistenziale esista una carenza di democrazia e la presenza del fanatismo, dell’antisemitismo e di un’arcaica barbarie, che segna indelebilmente la sua azione politica e il progetto di società civile che essa dichiara di voler costruire. Che buona parte della sinistra finga di non vederlo fa parte di uno dei suoi pregiudizi, ed è tale anche per l’affermazione di Traverso che le due violenze non siano equiparabili e speculari perché Hamas userebbe mezzi illeciti mentre Israele avrebbe scopi illeciti, il che è falso perché illecito è anche lo scopo dichiarato di Hamas di distruggere gli ebrei e di cacciare gli israeliani dalla Palestina. C’è infine un dato essenziale che incide sulla natura e sulle responsabilità delle morti e della distruzione di Gaza e contesta le conclusioni di Traverso. Hamas nel corso della ventina d’anni di potere dittatoriale e incontrastato su quella che viene chiamata con qualche ragione una prigione a cielo aperto, ha realizzato nel profondo del sottosuolo di una superficie di 380 km., sovraffollata da 2.400.000 abitanti, massima concentrazione abitativa al mondo, ricca di moschee, ospedali, scuole, centri sociale, vicoli e strade fittamente popolate, una rete sotterranea di centinaia di km (si dice 700) di tunnel attrezzati con tutti i comfort di una complessa e costosa tecnologia bellica, che costituisce la base relativamente sicura per le azioni di guerra dei suoi militanti e per il lancio di migliaia di missili e di droni anche in un solo giorno. La scelta lungamente meditata programmata e poi realizzata di Hamas è stata quella di rendere l’intreccio tra questi due mondi, quello civile e quello militare, essenziale e del tutto indissolubile, facendo sì che qualunque azione di ritorsione e di guerra contro quel mondo sotterraneo inevitabilmente colpisse prima di tutto quello di sopra con immense distruzioni e un numero insopportabile di morti civili. Israele, spinto dalla sua parte peggiore politica e ideologica e con intenti, speculari a quelli di Hamas, di dominio e di una sua irrealistica distruzione è caduta in questa trappola e ha risposto alla mattanza del 7 ottobre esattamente come la stessa voleva e si attendeva. Che Hamas abbia previsto, preteso e continui a pretendere di usare il sangue degli abitanti di Gaza come parte integrante della sua azione politica e militare, è un dato di fatto, pubblicamente dichiarato dal suo massimo leader politico Isma’il Haniyeh, ucciso a Teheran il 31 luglio scorso, fin dai giorni immediatamente successivi al 7 ottobre. È quindi anche ad Hamas e non solo ad Israele che vanno addebitati i morti e le distruzioni terribili di ieri, di oggi e quelle di domani. Ciò contesta i paradigmi di molti ragionamenti di Traverso in particolare impone di considerare l’esistenza di una responsabilità concorrente di Hamas nell’uso criminale delle sofferenze del suo popolo.
Mi rendo conto che il pamphlet di Traverso per la varietà e la ricchezza di osservazioni critiche che suscita richiederebbe uno spazio ben più ampio di questa già troppo lunga recensione, qui mi limiterò ad un’ultima considerazione, la più dolorosa su di un tema incandescente, su cui si dovrà tornare in modo più diffuso e meditato. La domanda è su quanto ci sia di vero e quanto incida e si ritorca sulla memoria e sul rovello senza fine della natura della Shoah la tesi di un genocidio a Gaza e del parallelismo tra nazismo e fondamentalismo israeliano.
Gl ebrei sono stati decimati in uno dei crimini più gravi di cui si sia macchiata l’umanità, si sono salvati fortunosamente da una “soluzione finale “e oggi autorevoli intellettuali li rendono simili ai loro carnefici. Ma sono paragonabili le ragioni e le modalità della distruzione del Ghetto di Varsavia a quelle di Gaza, e la lotta disperata di poche centinaia di partigiani del ghetto ha che fare con quella vincente delle migliaia di partigiani di Hamas del 7 ottobre? E sono la stessa cosa gli stermini ciecamente e freddamente ideologici dei nazisti e le uccisioni israeliane, reazioni tragicamente indifferenziate ad una subita mattanza disumana? E hanno qualcosa in comune le storie che stanno alle loro spalle? Quella un popolo millenario, una minoranza dispersa, eternamente in fuga, sulle soglie di una soluzione finale, che insorge in una solitudine totale con poche armi e un eroismo senza speranza, simbolica testimonianza di una resistenza votata alla morte e quella di un popolo giovane che scopre e costruisce una propria identità in poco meno di ottant’anni, duramente conculcata da chi occupa con qualche ragione la sua stessa terra, un popolo dominato da un potere maschile antiquato e autoritario, determinato e ferocemente indiscriminato nelle sue azioni di guerra, sorretto dalle armi, dal denaro e dal consenso di centinaia di milioni di suoi simili?
Oggi questo fazzoletto di terra è il centro di un contrasto mortale, che sta dentro e fuori del tempo, di etnie, culture, religioni dove ogni ragione, ogni verità si sfalda, si deturpa e s’incancrenisce in una disumanità e in una violenza che si avvita su se stessa e che si disperde in una serie di conflitti anche all’interno delle parti che si combattono, autorità palestinese e Hamas, da un lato sunniti e sciiti, fondamentalisti religiosi e nazionalisti razzisti, dall’altro laici e democratici, ognuno con i suoi torti e le sue ragioni, con i suoi orrori e la caduta di ogni umanità. In tale contesto questo piccolo libro fa un grave danno alla ricostruzione e alla conoscenza della realtà storica e all’unica ipotesi ragionevole, anche se sempre più problematica, di una soluzione del conflitto, quella della coesistenza di due stati, che per altro Traverso rifiuta.
Enzo Traverso Gaza davanti alla storia, Laterza, 2024 (pp. 104, € 12)