La lotta segreta degli ebrei lituani
di Anna Rolli e Beppe Segre
Premessa
Qualche anno fa, Anna Rolli pubblicava a sua cura le memorie di Simcha Rotem, uno dei leader della Resistenza nel ghetto di Varsavia, cui seguì un altro testo, sintesi di un colloquio decennale con il combattente ed eroe. Ora presenta un nuovo libro: le memorie di Joseph Harmatz (nome di battaglia Julek), uno dei leader della resistenza nel ghetto di Vilnius, partigiano nelle foreste della Lituania, fondatore del gruppo dei Vendicatori, membro del Mossad, dirigente dell’ORT, testimone e scrittore.
Un libro corredato di documenti integrativi, di una nota storica, impressionante per la successione di violenze perpetrate, di riflessioni sulla Resistenza ebraica e infine di una lunga intervista condotta con l’attenzione e il rispetto che merita un eroe come Julek.
Immense sofferenze
Questo libro – spiega Julek nelle pagine iniziali- narra la vita di un individuo allo scopo di mostrare il profondo dolore e le immense sofferenze di milioni di persone che vissero e morirono durante il terribile periodo della Shoah. Milioni è un quantum astratto e pone i fatti al di là dell’umana comprensione. Per comprendere il dolore di milioni di persone, è necessario immedesimarsi nella vita di un singolo. È lo stesso pensiero di Primo Levi, che constatava: “Una singola Anna Frank ci commuove più che gli innumerevoli altri che hanno sofferto proprio come lei, ma le cui facce sono rimaste nell’ombra. Forse è meglio così: se fossimo capaci di contemplare le sofferenze di tutte quelle persone, non saremmo capaci di vivere”.
Vilnius
In Lituania vivevano circa 200mila ebrei, il 7 % della popolazione, dei quali 57mila nella capitale, quasi un terzo degli abitanti. Vilnius era superata, in Europa, soltanto da Varsavia per la sua importanza centrale nella vita culturale delle comunità di tutto il mondo e con amore, orgoglio e ammirazione veniva definita “la Gerusalemme della Lituania”. A Vilnius, allo scoppio della guerra, sorgevano centodieci sinagoghe e dieci yeshivot, avevano sede biblioteche, case editrici e le redazioni di numerosi giornali. Tra le associazioni e gli istituti culturali, politici e religiosi, spiccava prestigiosissima l’Yivo, l’Accademia delle scienze in yiddish, fondata nel 1925 e considerata una delle più importanti d’Europa. La popolazione ebraica contava poeti, scrittori, pittori, musicisti, alcuni dei quali famosi, medici, avvocati, ingegneri, architetti e artigiani di ogni tipo.
In cinque mesi, entro il novembre del 1941, più di 136mila ebrei furono assassinati, nella foresta di Ponar, alle porte della città, prevalentemente con fucilazioni di massa. Al 31 dicembre di quell’anno circa l’80 % degli ebrei era stato eliminato, tre anni dopo, alla fine della guerra, il 96 %.
Ebrei in armi
Il lavoro dell’autrice non si limita alla ricostruzione delle vicende, in guerra e in pace, ma intende analizzare la resistenza ebraica in Lituania, confutando il luogo comune che vorrebbe gli ebrei inermi trascinati al macello senza reagire.
Si pensi alle valutazioni del prof. David Meghnagi: “Soltanto di recente la memorialistica e la storiografia hanno cominciato a sondare il contributo specificamente ebraico alla resistenza contro il nazismo: come partigiani della libertà nella guerra di Spagna (un quinto dei 35.000 miliziani, fra cui alcuni arrivati dalla Terra dei padri); come vittime sacrificali nella Francia occupata, almeno sino alla rottura del Patto Molotov – Ribbentrop (chi può dimenticare il ruolo dei partigiani ebrei, abbandonati a loro stessi?); come partigiani nelle foreste polacche, in Boemia, Ungheria, e altrove, sotto falso nome perché i loro nemici si contavano nelle stesse forze che combattevano i nazisti, come soldati negli eserciti alleati, nell’Armata Rossa e nello spionaggio antinazista; infine come ebrei nella Brigata Ebraica.
Si calcola che il numero degli ebrei in armi contro i nazisti sia stato all’incirca di un milione e mezzo, Dove hanno potuto gli ebrei hanno combattuto al fianco dei loro connazionali non ebrei con una percentuale più alta tra tutti i popoli”.
Nelle foreste lituane
Racconta Julek della vita durissima dei partigiani nelle foreste:
“Ci veniva ordinato di far saltare un treno oppure un ponte e questo significava, in inverno, arrancare nella neve profonda anche per quaranta chilometri, con armi, pistole, granate e sette o otto chili di dinamite che avremmo dovuto caricare sulle spalle a turno e che invece, quasi sempre, Tevya si offriva di portare per tutta la strada. Quando c’era un fiume da superare, qualcuno doveva andare in avanscoperta a controllare che nella riva opposta o nel villaggio non ci fossero pericoli.
D’inverno, in Lituania, con trenta gradi sottozero, guadare anche il più minuscolo dei fiumiciattoli significava arrivare dall’altro lato tremanti e coperti da vestiti ghiacciati e duri come il metallo. Far saltare treni e rotaie era pericoloso e, nel corso dei mesi, mettemmo a punto la tecnica migliore con l’esperienza e spesso al costo di errori fatali. Innanzitutto nascondevamo la mina tra le rotaie poi, per innescare il detonatore, bisognava tirarla al momento opportuno…Il posto più adatto per far saltare un treno e distruggere la locomotiva era lungo una curva sopraelevata. Dei singoli vagoni si poteva fare a meno, ma non del motore e per questo era molto importante distruggerlo. Se la mina fosse esplosa al momento giusto, la locomotiva si sarebbe sganciata e sarebbe precipitata per schiantarsi in basso. Ci riusciva di rado.”
I Vendicatori
Nel settembre 1945 Julek si spostò a Norimberga. A Vilnius, nell’organizzazione clandestina del ghetto, aveva militato agli ordini del comandante Abba Kovner e subito dopo la guerra aveva fondato con lui il gruppo ”Dam Yehudì Nakam”, “Il sangue degli ebrei sarà vendicato”, ovvero “I vendicatori”.
Il piano A prevedeva l’avvelenamento dell’acquedotto di Norimberga, piano abbandonato dopo un sofferto ripensamento collettivo. Gli ebrei, infatti, non volevano colpire innocenti.
Il piano B prevedeva di avvelenare gli uomini delle SS, prigionieri degli americani. I membri delle SS erano tutti volontari, non si trovavano innocenti tra loro, tra loro che:” avevano afferrato i nostri bambini per le gambette e li avevano sfracellati contri i piloni oppure li avevano gettati nelle fornaci ardenti…” Julek era un buon organizzatore e riuscì a far arrivare cinque sacche di arsenico e a sistemare ogni cosa….
Sul New York Times del 20 aprile 1946 comparve un articolo con il titolo: Poison Bread Fells 1,900 German Captives in U.S. Army Prison Camp Near Nuremberg.
Membro del Mossad
Il gruppo dei Vendicatori aveva in parte raggiunto il suo obiettivo, Abba Kovner era stato arrestato, lo scontro con le autorità ebraiche palestinesi era al culmine…. Urgevano altre priorità in Medio Oriente: le esigenze della difesa nazionale, la salvezza e l’integrazione dei profughi ebrei provenienti da ogni parte del mondo, l’organizzazione del neonato stato ebraico…nei primi anni cinquanta l’Agenzia Ebraica, con sede a Ginevra, doveva affrontare problemi enormi perché gli ebrei in fuga erano numerosissimi. In nord Africa, nell’Europa dell’Est e in Unione Sovietica moltissime comunità erano ancora a rischio di persecuzione e di massacro. I finanziamenti per le operazioni di salvataggio venivano raccolti dall’Agenzia e passati al Mossad e Julek lavorava per ambedue. Decine di migliaia gli ebrei che grazie al suo impegno riuscirono a raggiungere la terra d’Israele.
Dirigente dell’ORT
Julek, che aveva vissuto in clandestinità dall’età di sedici anni e mezzo e poi aveva partecipato a tutte le guerre ed era entrato nel Mossad, ormai uomo maturo, desiderando una vita più rilassata, accettò l’incarico di dirigente responsabile dell’ORT, l’organizzazione ebraica d’istruzione, fondata nel 1880, per migliorare le condizioni di vita degli ebrei sotto il dominio degli zar ed in seguito ramificata in tutto il mondo. La sede era a Ginevra poi a Londra ma anche in Italia e Julek ricordava, a Torino, la collaborazione con l’ingegner Bruno Jarach che definiva “un uomo meraviglioso, onesto e generoso”.
Il libro di Julek, che inizia raccontando crudeli storie di ferocia e di orrore, termina con la descrizione di attività finalizzate al salvataggio di persone in pericolo, alla pacifica integrazione dei profughi, alla formazione professionale dei disoccupati, all’impegno nel lavoro e nel Tikun Olam… di questo mondo dove imperversano violenza e ingiustizia, per un mondo nuovo, di pace e di solidarietà, operando sempre “per l’onore dell’umanità”.
I combattenti ebrei lottavano per salvare “l’onore del popolo ebraico” calpestato dalle quotidiane accuse e denigrazioni della propaganda nazista che descriveva gli ebrei come incapaci di lavorare onestamente, incapaci di combattere, falsi, astuti e maligni. Gli ebrei, al contrario, sapevano che i valori espressi dalla loro cultura erano i più alti che l’umanità fosse stata in grado di concepire: libertà, uguaglianza nella dignità e di conseguenza fraternità fra tutti gli esseri umani.
I combattenti ebrei lottavano però anche per salvare “l’onore dell’umanità”. L’immagine che i nazisti intendevano dare degli esseri umani appariva spaventosamente degradata: secondo l’ideologia nazista l’uomo dovrebbe essere dedito esclusivamente alla sopraffazione e alla schiavizzazione dei più deboli, alla violenza e alla crudeltà. La Resistenza nei ghetti, nelle foreste, addirittura nei campi di sterminio, come ad esempio nel caso della solidarietà tra le donne di KaiserWald (delle quali ci racconta Julek) stava a dimostrare che il nazismo non rappresenta la verità ontologica dell’essere umano e significava davvero: “salvare l’onore del mondo intero”.
Joseph Harmatz : Il poeta e il combattente: la lotta segreta degli ebrei lituani. Prefazione e cura di Anna Rolli, postfazione di Beppe Segre – Soveria Mannelli : Rubbettino, [2022]. – p.350, €20
Joseph Harmatz, nome di battaglia Julek
Ghetto di Vilnius – 1 gennaio 1942
Primo Proclama
Non lasciamoci portare come pecore al macello!
Giovani ebrei! Non credete a chi vi incanta:
degli 80.000 ebrei della “Gerusalemme lituana” non ne rimangono che 20.000.
Ci hanno strappato sotto gli occhi genitori, fratelli e sorelle.
Dove sono le centinaia di persone condotte a lavorare dagli sgherri lituani?
Dove sono le donne e i bambini portati via, nudi, in quell’orribile notte?
Dove sono gli ebrei catturati durante lo Yom Kippur?
E dove sono i nostri fratelli del secondo ghetto?
Di coloro che hanno lasciato la porta del ghetto non è ritornata una sola persona.
Tutte le strade della Gestapo finiscono a Ponar.
E Ponar è la morte!
Voi che ancora dubitate smettete di illudervi!
I vostri figli, i vostri mariti e le vostre mogli non vivono più.
Ponar non è un campo.
Là sono stati fucilati 15.000 esseri umani.
Hitler è deciso a cancellare gli ebrei dall’Europa.
Il destino ha voluto che gli ebrei lituani fossero i primi della lista.
Non lasciamoci portare come pecore al macello!
È vero: siamo deboli e indifesi
Ma la risposta al nemico non può che essere una sola:
Resistenza!
Fratelli!
È meglio cadere combattendo per la libertà che sopravvivere per grazia degli assassini.
Resistenza!
Resistenza fino all’ultimo respiro!
(Abba Kovner)