di Sandro Ventura
Location: Jerusalem, Dates: 2023, 3 – 6 May, Action field: Worldwide.
Convegno tutto in inglese, con delegazioni da 50 paesi, nel lussuoso centro congressi Beth Shmuel, in rehov Shamma. La WUPJ, World Union for Progressive Judaism, è una delle maggiori organizzazioni mondiali del mondo ebraico e rappresenta le comunità liberali, riformate e ricostruzioniste presenti nei cinque continenti.
Gli eventi più significativi del congresso non sono stati i dibattiti, le discussioni politiche o organizzative, a causa della grande molteplicità delle situazioni e delle culture. I momenti più alti sono stati invece quelli delle tefilloth, del culto, in cui i sentimenti religiosi hanno potuto esprimersi al meglio e creare una unità altrimenti difficile. Si possono comprendere le grandi diversità e complessità delle situazioni se si confrontano da un lato le realtà di USA, Regno Unito o Paesi Bassi, dove l’ebraismo progressivo è largamente maggioritario, col mondo, dall’altro lato, di Israele o Italia, dove si lotta per un riconoscimento paritario con le altre forme di ebraismo.
A rappresentare l’Italia eravamo in otto, quattro uomini e quattro donne, senza rabbino, mentre la presenza di rabbine e rabbini di altri paesi era notevole. Noi venivamo da queste comunità: Beth Hillel di Roma, Or Ammim di Bologna, Lev Chadash e Beth Shalom di Milano e Shir Chadash di Firenze, tutte della Federazione Italiana per l’Ebraismo Progressivo. La presenza quest’anno di una delegazione italiana piuttosto numerosa (nel 2003 eravamo soltanto in due) indica una forte motivazione ed un grande interesse a partecipare ad un contesto internazionale.
Significativo è stato il colloquio alla Knesset con Ghilad Kariv del partito laburista e con Idan Roll di Yesh Attid, rappresentanti dell’opposizione democratica al governo di estrema destra di Netanyahu. All’incontro ha partecipato anche Orly Erez-Likhovski, in rappresentanza dell’Israel Religious Action Centre (IRAC). Sono apparsi molto contenti di poter dialogare con associazioni solidali e vicine alle loro posizioni politiche e religiose. Ovviamente abbiamo parlato della complessa situazione di frattura che si è creata in Israele e sul ruolo che l’opposizione si è assunta per garantire la democrazia e la laicità dello stato. Oltre a rappresentare un baluardo della democrazia israeliana, le componenti laiche e religiosamente progressive costituiscono un bersaglio dell’ostilità e della rabbia delle forze ultrareligiose e ultranazionaliste che sono al potere e che vogliono impadronirsi dello stato senza alcun limite. A complemento di questo incontro, un gruppo ha visitato il palazzo della Corte Suprema d’Israele, la principale istituzione che può porre dei limiti allo strapotere delle forze politiche. Non a caso il palazzo è stato costruito su una collina che domina la Knesset, fatto questo di forte valenza simbolica.
Suggestiva ed emozionante la tefillà di Shachrit del venerdì mattina, che abbiamo celebrato davanti al Kotel Ha-Ma’aravì (il Muro del Pianto). Tuttavia, non si può non osservare che lo spazio dedicato agli ebrei “progressive” e “conservative”, dove uomini e donne possono pregare insieme, non è nella grande spianata (totalmente gestita da ortodossi e ultraortodossi) ma in uno spazio appartato che si trova più in basso rispetto alla spianata. Ci ho messo un po’ di tempo, domandando in giro, per capire dove fosse. Fortunatamente lo spazio è provvisto di tende che riparano dal sole, ma non ha sedie o panche su cui riposarsi. Insomma, anche da queste cose si può notare un atteggiamento discriminatorio, che rivela come vengano a malincuore tollerati quei movimenti che cercano di innovare l’ebraismo e di renderlo aperto alla modernità.
Uno dei momenti più alti del congresso è stato quello dello Shachrit shel Shabbat. La parashà di Emor è stata letta da diversi cantori e “cantrici”, su sette diversi Sifré Torà che sono stati donati dalla WUPJ a sette stati in cui la presenza delle comunità progressive è in crescita, ed in cui sorgono nuovi gruppi ancora sprovvisti di un Sefer Torà. Uno di questi è stato consegnato all’Italia, dove nuove congregazioni e Havurot stanno nascendo e necessitano di questo importante riferimento religioso e di studio.
Tra i tanti gruppi di lavoro, uno importante ha discusso lo sviluppo ed il coinvolgimento di Arzenu, l’organizzazione sionista dell’ebraismo progressivo, che coinvolge soprattutto i giovani, come due dei nostri rappresentanti italiani. Uno dei principali argomenti che dovrebbe essere affrontato nei contesti sionisti, ho sostenuto, è quello dei rapporti con le diverse realtà del popolo palestinese. Ma “non c’è il tempo per affrontare un argomento che avrebbe richiesto giorni di discussione” mi è stato obiettato. Ciò era vero, ma ho dovuto constatare che anche in quel contesto progressivo si è evitato il tema scottante, che prima o poi in Israele e nella diaspora dovrà essere adeguatamente affrontato.
Al termine del congresso, alla sera di Shabbath, si è celebrata la Havdalà, con canti e danze e, alla fine, il coro di Ha-Tikwà, l’inno d’Israele. Poi gran parte dei delegati, con tutti noi italiani, si è spostata davanti alla residenza del Capo dello Stato, nel quartiere Rehavia.
Abbiamo così partecipato ad una delle manifestazioni (la diciottesima) degli oppositori al governo, che hanno obbligato Netanyahu a rinviare “sine die” la progettata riforma per esautorare la Corte Suprema. Migliaia di persone. Siamo rimasti stupiti dall’ottima organizzazione dell’evento. Un grande camion aveva scaricato una trentina di sedie per gli anziani. Sulla sua fiancata venivano proiettate le immagini degli oratori, importanti uomini politici e di cultura, presentati dai giovani organizzatori, dopo brevi intrattenimenti musicali. Alla fine, tutti in piedi per cantare la Ha-Tikwà. (Non mi era mai capitato di cantarla due volte di seguito nella stessa serata…). Al bordo della manifestazione pochi tranquilli poliziotti in nero, su cavalli neri, senza attrezzatura antisommossa. I manifestanti si sono quindi mossi in corteo per arrivare a rehov Hillel. Un gruppo di giovani ballava al ritmo di tamburi assordanti, scandendo ai megafoni de-mo-cra-tia!, mu-sar! (etica, morale) bu-sha! (vergogna). Ovunque bandiere bianche e azzurre, cartelli e costumi i più strampalati. Di fronte a queste migliaia di tutte le età radunate in rehov Hillel, dove poi la manifestazione si è sciolta pacificamente, un piccolo drappello di una trentina di persone, soprattutto haredim, che con diversi cartelli esprimevano il loro appoggio al governo Netanyahu. Quasi ci facevano pena.
Il Congresso WUPJ di Gerusalemme: una bella e forte esperienza, che aiuta a comprendere come il nostro lavoro non è isolato, ma in rete con tante altre forze che lottano, in Israele e nella diaspora, per un ebraismo più aperto ed accogliente e per un mondo migliore.