di Moshe Chertoff

 

Nel Giorno della Memoria del 2016, il vicecapo di stato maggiore dell’Esercito di Difesa israeliano Yair Golan, parlando ad una cerimonia pubblica, pronunciò parole forti, parole che allora sconvolsero tutto Israele. Questo militare di altissimo grado aveva azzardato un paragone tra ciò che è accaduto in Europa ottanta anni fa con certe situazioni che si stavano concretizzando in Israele già in quel periodo.

La questione è stata gonfiata dalla stampa israeliana che, come si può immaginare, ha sempre condannato qualunque confronto di questo genere. Tuttavia, trascorsi cinque anni e mezzo, ora ci si rende drammaticamente conto che Yair Golan aveva ragione.

Le sue parole come “La Shoà deve indurre a pensare alla nostra vita pubblica e, ancor di più, deve guidare qualunque persona capace, e non solo coloro che desiderano assumersi responsabilità pubbliche” sono quanto mai ora più attuali.

Ancora più significativo è ora ricordare quando disse: “Perché se c’è qualcosa che mi spaventa nel ricordo della Shoà, è scorgere le disgustose modalità di pensiero e d’azione che si sono susseguite in Europa, e in particolare in Germania, settanta, ottanta, novant’anni fa, e vederne analogie con quello che accade qui tra noi nel 2016”.

Il maggiore generale Golan non stava paragonando la Shoà con fatti specifici avvenuti in Israele. Stava invece confrontando come un paese in crisi, quale la Germania tra le due guerre mondiali, abbia potuto, in un’elezione equa e democratica, far emergere con un gran numero di voti il partito di un dissennato criminale, solo capace di compiacere il suo ego e diventare quel dittatore che avrebbe spinto il suo paese nel più buio dei baratri, trascinando con sé la maggior parte del mondo.

Alle elezioni, Benjamin Netanyahu non ha ottenuto più del 50% dei voti. Tuttavia, Netanyahu ignora questo fatto e dichiara il falso quando afferma che la maggioranza degli israeliani ha votato per lui. Pur avendo il suo partito vinto più seggi di qualsiasi altro, la coalizione da lui formata non ha superato il 50% dei voti.

Forse il dato più importante da ricordare quando si cerca di capire la spudoratezza di questo nuovo governo è che poco più del 49% degli elettori ha votato per i partiti che hanno formato la coalizione, e che poco meno del 49% ha votato per i partiti che sono rimasti all’opposizione. Lo 0,97% è stato il margine di vittoria che si è tradotto in una maggioranza di 64 seggi alla Knesset (su 120 seggi totali). Gran parte di quell’estrema sinistra che odia Israele andrà a sottolineare che la maggior parte degli israeliani ha votato per i partiti di destra. Chi, cercando di spiegare il nostro attuale equilibrio politico, propugna questa opinione continuerà a non rendersi conto che i risultati di queste quinte elezioni israeliane non sono stati misurati come Destra contro Sinistra. La contrapposizione che ha davvero diviso l’elettorato è stata la consapevolezza o meno dei pericoli contro cui Golan ci ha messo in guardia. Molti ancora si rifiutano di lasciare il Paese in mano all’estrema destra ed al suo intento di trasformarlo in una teocrazia autocratica e razzista.

Il Likud è al potere quasi ininterrottamente dal 1977 e Netanyahu dal 1999. Considerando tutta l’esperienza accumulata da questo partito nella definizione della struttura, dei processi o della composizione del governo israeliano, il Likud avrebbe potuto facilmente trovare il consenso pubblico per attuare un processo deliberativo e democratico di negoziazione di una pace duratura. Tuttavia, se ci guardiamo indietro e ci chiediamo perché non abbiano mai attuato un’annessione della Cisgiordania, per la quale il Likud aveva la maggioranza, ci rendiamo conto che le politiche di estrema destra tout court non vanno molto d’accordo con la comunità internazionale e specialmente con la comunità ebraica internazionale.

Quindi, considerando che Netanyahu non è riuscito a raccogliere una forte maggioranza nelle prime quattro elezioni di questo ciclo, ha pur sempre avuto la capacità lungo la strada di stabilire un governo. Ciononostante, questo non è stato sufficiente a soddisfare i suoi due bisogni primari, ovvero ritardare i suoi quattro processi il più a lungo possibile per rimanere fuori dalle aule di tribunale o peggio dalla prigione, ed ancora di espandere la nostra Occupazione in un’entità finalizzata ad impedire permanentemente la formazione di uno Stato Palestinese contiguo a Israele.

Da astuto politico che è, Netanyahu è ancora riuscito a trovare modo di consolidare il suo dominio su Israele in questa quinta elezione del ciclo, in un contesto in cui i partiti di estrema destra stavano guadagnando forza a spese del suo partito, pur tuttavia riuscendo a volgere la situazione generale a suo vantaggio, mettendo di nuovo una parte contro l’altra. Questo è l’hobby preferito di tutti i populisti e dittatori: non importa chi è da una parte e chi dall’altra. Le sue bugie e tattiche hanno fornito giustificazione e collante alla più pericolosa coalizione di destra della nostra storia.

La loro licenza di governare dagli estremi porta a un ambiente intriso di odio razzista. Dà carta bianca ai più facinorosi di agire impunemente, minacciando e punendo chiunque protesti contro il governo. Scagliandosi, ad esempio, contro gli imprenditori che hanno chiuso le loro attività per contestare la nuova virata a destra (come hanno fatto la scorsa settimana a Petach Tikva). Oppure, mettendo in atto azioni aggressive, come sta accadendo nella città di Huwara, in Cisgiordania, proprio ora, mentre scrivo. Questa violenza sostiene l’immagine di Netanyahu quale l’anziano che addomestica la gioventù selvaggia e che promuove stabilità e sicurezza estendendo gli insediamenti in Cisgiordania. Anche l’Autorità palestinese avrebbe bisogno di quella stabilità per rimanere in vita, ma insieme a molte delle iniziative politiche in Cisgiordania la sua triste fine si avvicina.

La mia attuale speranza è nei quattro o cinque parlamentari del Likud che non sono d’accordo con la violenza del blitz legislativo, né con il cambio di regime globale. Ad esempio, Dan Meridor, l’ex deputato del Likud e ministro della Giustizia, ha lasciato il Likud di Netanyahu quando ha riconosciuto l’imminente attacco contro la democrazia e si è unito al Mahane HaMamlachti (il Partito di Unità Nazionale guidato da Benny Gantz). Con Meridor, ci sono anche altri che potrebbero abbandonare la nave mentre tutte le conseguenze negative del blitz piovono sul nostro piccolo paese. L’inarrestabile crollo dello Shekel e degli investimenti nel settore high-tech, il rischio che gli Stati Uniti cessino di difendere Israele presso gli enti intergovernativi, la richiesta da parte della sinistra statunitense di ridiscutere gli aiuti militari verso Israele e la possibilità di un deferimento dei nostri soldati presso la Corte Internazionale di Giustizia, per le loro azioni nei Territori, potrebbero essere motivi sufficienti per portare sempre più israeliani anche della destra al potere a passare dalla parte giusta della Storia. Ciò potrebbe causare lo scioglimento di questa coalizione di governo.

Una cosa è certa: il fascismo porta al caos, e quel caos è solo a vantaggio di un dittatore. Non ci resta che restare attenti e combattivi.

Moshe Chertoff
Kibbutz Shomrat, Precedentemente membro del Ken Nirim, Hashomer Hatzair di Los Angeles (1974)

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